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Consiglio la lettura di questo libro sia a coloro che hanno dimestichezza con il linguaggio filosofico, sia a coloro che invece si cimentano per la prima volta in un testo di filosofia. Si tratta di una raccolta di saggi che finalmente affronta in maniera chiara e documentata la decisiva questione dello stile in ambito filosofico e che offre molti spunti di riflessione su un argomento spesso non trattato o trattato solo marginalmente. Infatti, nonostante venga dato molto spesso per scontato, se non addirittura per superfluo, lo stile con il quale ogni filosofo si accinge a scrivere la propria opera non solo non è ininfluente, ma è, al contrario, decisivo nel promuovere un determinato linguaggio e, di conseguenza, determinati contenuti. Per chi ha deciso di avvicinarsi alla filosofia, ritengo che questo libro rappresenti un ottimo testo introduttivo, perché conoscere l'importanza del linguaggio in ambito filosofico significa anche riuscire a comprendere meglio le opere filosofiche stesse e i loro autori. Questo libro, infatti, vuol dimostrare che ogni stile linguistico di cui un filosofo si serve non è mai casuale o assurdo, ma sempre rispondente a determinate esigenze di contenuto; si scrive in un certo modo, dunque, perché si vogliono scrivere determinate cose. In questo senso, si tratta di un libro capace di avvicinare la filosofia ai cosiddetti "non addetti ai lavori", mostrando quanto la filosofia e il suo linguaggio non siano lontani, bensì molto vicini alla vita.
Il volume è utile e interssante, anche perché affronta un argomento poco esaminato in Italia. Come in tutti i libri collettivi ci sono degli alti e dei bassi e alcuni che si trovano lì per caso. Sicuramente buoni sono i saggi di Giuseppe Panella, Camilla Pieri e Samantha Novello. Discreto è quello di Gianluca Garelli. Poi ve ne sono altri senza infamia e senza lode, ed un paio che hanno da sfogare le proprie frustrazioni personali e che si domandano su "Perché scrivo"? Già, perché? A volte i curatori di quetsi volumi dovrebbero stare un po' più attenti. Di questo volume, i curatori sono tre "stelle di prima grandezza" nel panorama filosofico italiano. Ma la loro distanza siderale da talune piccinerie del mondo non rende un buon servizio al mondo stesso. Nonostante questo, comunque, il lavoro deve essere preso nel suo insieme in attenta considerazione.
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