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La quasi notte - Francesca Serragnoli - copertina
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La quasi notte - Francesca Serragnoli - copertina

Descrizione


Si potrebbe parlare di poesia religiosa se non fosse per la spiccata adesione a una realtà articolata e complessa che caratterizza il dettato di Francesca Serragnoli. Questa nuova raccolta comprendente testi scritti nell'ultimo lustro, ripartiti in cinque sezioni composte di una materia rarefatta, quasi impalpabile, per certi versi affine al pugno di liriche donateci da Cristina Campo. Una sorta di preghiera laica, un salmodiare attento e misurato che respinge la dinamica del grido, per accogliere in sé una parola sussurrata a fior di labbra, che ha la compostezza di una rosa coltivata interiormente, con acredine, pazienza, dedizione assoluta. Niente è esibito, tutto è calibrato, raccolto in un suo microcosmo che riproduce «la vita all'altezza della vita». Si tratta di un continuo anelito alla leggerezza, per rivendicare la propria verticalità in un mondo che annienta le nostre aspirazioni più vive e più vere. Versi delicati e tragici, perduti in una dimensione outrée, attraversata da immagini stranianti con il retaggio, allucinato e solenne, dei libri apocrifi. La parola sembra denudarsi, rinunciare a ogni possibile orpello, per stagliarsi nella «quasi notte» in una sorta di indifesa alterità, pudica e impudica.
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Dettagli

MC
2020
15 ottobre 2020
82 p., Brossura
9788831369152

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alida airaghi
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Intensità e rarefazione

Le cinque sezioni in cui si articola il volume si misurano con un’ansia che definire religiosa è forse eccessivo, ma certamente pare circoscrivibile entro una dimensione di ricerca spirituale, non sempre rasserenante e risolta, e invece rasentante i bordi dell’incertezza, del rovello e dell’inquietudine. Nella scrittura della poetessa si addensano infatti intensità e rarefazione, sobrietà e desiderio di svelamento, oscurità e trasparenza. L’evidente tensione metafisica, oggettivata in una terminologia che rimanda al credo cristiano (la croce, il calice, la lancia, la comunione, le reliquie, il costato da cui escono acqua e sangue) e il richiamo costante a una presenza divina, velata e non sempre paterna, si scontrano con una forte materialità fisica, evidente nell’accumulo di termini appartenenti al corpo: mani, dita, piedi, ginocchi, gola, lingua, bocca, cuore, scheletro, viscere, volto, occhi. Gli occhi, soprattutto, e lo sguardo, e l’atto di guardare, tornano ossessivamente in molte composizioni della raccolta, ad accentuarne l’aspetto simbolicamente visionario, di un’apertura e di una repentina e quasi impaurita chiusura sul mondo circostante (“l’occhio spalancato senza vita, / senza morte”, “gli occhi spaccati in due”, “occhi impietriti”, “occhi bassi”). Ascesi e caduta, volo e precipizio si alternano nelle pagine, utilizzando metafore indicanti rinuncia, angoscia, solitudine e sgomento, a cui si oppone una tenue ma tenace speranza di salvezza, di resurrezione. Formalmente, la sintassi nominale e paratattica evita qualsiasi subordinata, nega a se stessa l’addolcimento delle rime, giustappone versi in apparenza slegati tra loro, procedendo per associazioni visive, correlazioni sonore, o allusioni volutamente ambigue.

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