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La traduzione letterale del titolo originale dell'opera sarebbe Demistificare l'universalità dei valori americani. Il centro focale del volume è infatti la pretesa universalistica del modello democratico statunitense sulla cui base la politica imperiale di George W. Bush appare come una rottura nella continuità. Nel saggio introduttivo di Liberman sono presentate varie tesi tra cui quelle di Stanley Hoffman sul senso di superiorità dell'America rispetto all'Europa quelle di Regis Debray sulla centralità del fattore religioso nell'identità americana (l'elemento inedito dal punto di vista politico è a suo parere l'alleanza del partito repubblicano del Nord con la Bible Belt la ‘cintura biblica' del Sud democratica per tradizione e questo sia all'interno del settore dell'industria militare sia in quello delle comunità messianiche) e quelle di Pierre Hassner sulla relazione tra la repressione penale (gli Stati Uniti com'è noto detengono il primato del numero di persone incarcerate e applicano tuttora la pena di morte) e le esasperate tendenze manicheiste del dopo 11 settembre. Il saggio di Daniel Lazare prende invece le mosse dalla considerazione che la democrazia non ha alcun senso senza il correlativo principio di sovranità popolare; la costituzione degli Stati Uniti si mostra però ostile all'idea di una sovranità del popolo. La separazione dei poteri il sistema dei checks and balances tipico americano la presenza di un senato semiaristocratico di una presidenza bonapartista e di magistrati con cariche a vita conducono secondo Lazare al disfacimento della democrazia. Centrale nel volume è infine il contributo di Alain Joxe che si interroga sul codice strategico fondatore statunitense rintracciandolo nella frontiera nella violenza e nel nemico interno-esterno.
Giovanni Borgognone
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