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I contributi presentati in questo numero portano alla riflessione su un annoso interrogativo: si può fare psicoterapia nelle Istituzioni Pubbliche? Interrogativo che, ampliando la nostra visuale, vorremmo ridefinire diversamente: si può intendere il lavoro condotto nei Servizi Pubblici come una diversa modalità di “lavoro terapeutico”. Una modalità che può essere, comunque, riconoscibile nelle sue forme, nei suoi mezzi e nella sua efficacia? Una modalità i cui strumenti possano essere declinati secondo diverse esigenze contestuali e secondo le specificità dei diversi ambienti in cui le persone incontrano gli operatori (psicologi, psicoterapeuti, psichiatri, neuropsichiatri, esperti di terapia transculturale, CTU, etc)? L’impresa non è semplice, ma gli autori che partecipano alla costruzione di questo numero hanno accettato di portare la loro testimonianza e riflessione come operatori che si muovono dentro alle istituzioni, operatori che con le istituzioni – oltre che con i pazienti – dialogano nell’incontro-scontro che su questo terreno si può generare.
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