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Quaderni di Mosca - Osip Mandel'stam - copertina
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Quaderni di Mosca

Descrizione


«Quando pensi a cosa ti lega al mondo, non credi a te stesso: sciocchezze! La chiave di mezzanotte di una casa altrui, un quattrino d'argento in tasca, e la celluloide ladra di un film.»

«Un'opera di rilevantissimo valore letterario, tradotta interamente per la prima volta e in ottimi versi italiani, in grado di coinvolgere il lettore per la loro intensità espressiva, per la formidabile capacità dell'autore di muoversi su vari registri, penetrando nella complessità dell'esserci anche ed essenzialmente nell'osservazione costante del reale nella sua concretezza enigmatica e carica di virtualità» - Maurizio Cucchi, Robinson

Con i Quaderni di Mosca, a partire dal 1930, si apre la cosiddetta seconda stagione della poesia di Mandel´štam, caratterizzata dall'abbandono del tono classico ed elevato a favore di una mescolanza di registri stilistici e forme metriche, un laboratorio in cui conta piú di tutto lo «slancio» poetico, in grado di trasformare in cicli di poesie un flusso di materiali eterogenei, autobiografici, storici e letterari, con una dinamica ambigua, simile a quella dei sogni. Sia il ciclo del viaggio in Armenia che apre il libro, sia quelli successivi ambientati a Leningrado e a Mosca presentano una poesia diretta e colloquiale, eppure cosí sfuggente, in grado di mescolare immagini della vita quotidiana con dotte citazioni letterarie, di sovrapporre piani temporali e spaziali diversi, di rappresentare la realtà nella sua natura pluristratificata e intimamente contraddittoria. Questo libro cosí fondamentale per la storia della poesia del Novecento non era mai stato integralmente tradotto in italiano. Ci hanno pensato Pina Napolitano e Raissa Raskina, offrendoci anche un indispensabile apparato di note in fondo al volume che permette di recuperare i molti riferimenti alla vita sovietica e alla biografia personale che il poeta distribuisce o, per meglio dire, fa esplodere nei suoi versi.

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Dettagli

2021
15 giugno 2021
344 p., Brossura
9788806248765

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al. n
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Un grande poeta a cui si torna ogni volta con stupore. L'intera sua opera è un canto dai diversi registri, ma immagini e suono si imprimono in modo indelebile. Che una voce simile sia stata annientata ci dice cosa può smuovere nelle persone la poesia, la vera poesia, e come fa vivere la nostra umanità, come sa darci slancio, certezza, valore... e proprio questo la tirannia non può perdonare.

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Cristiano Cant
Recensioni: 5/5

Da quali innesti fra steli, lassù nei borghi dell'Arcadia, è potuta sortire una voce come quella di Mandel'stam? Da quale distillato di idillio fra l'uomo e la parola, fra il dolore e il seme, fra il resistere e il patire? Rispondere è come tuffarsi in accenni già cariati, come imitare goffamente un tramonto, la radice di un verbo senza pari, poiché su terreni umani così enormi, così intimamente caldi della linfa più scelta offerta dalle sillabe, abitano più le anfore del genio che un'alba di spiegazioni alla mano: "Quanto amiamo simulare,/ e dimentichiamo con disinvoltura/ che siamo più vicini alla morte/ da piccoli che in età matura./ Succhia ancora l'offesa dal piattino/ il bambino assonnato, mentre io/ non ho più a chi tenere il broncio/ e su ogni via sono solo./ Ma non voglio morire come un pesce/ nel deliquio profondo delle acque/ e la libera scelta mi è cara/ dei miei crucci e sofferenze". Dopo spezzoni e tracce mai unitarie sulla sua opera poetica, dopo i volumi di irrespirabile grandezza scritti da sua moglie, ecco un dono che riscatta i decenni e fa vibrare ogni lontananza nel canto di una voce fra le più alte dell'intero secolo alle spalle, arazzo di immagini sublimi, di insofferenze profonde, di guasti e slanci tesi nel loro cappio di versi, di amore e difesa per la vita, trono meritato e affronto dei sensi, conforto e tonfo spesso in un solo gesto, sovrana deposizione di un brillio terreno al destino che Dio ha assegnato al poeta vestendo la sua coscienza con nettare di grazia: "Fascia la mano in un fazzoletto, e nella rosa canina incoronata/ nel più folto delle sue spine di celluloide,/ senza paura, fino allo schiocco, affondala./ Senza forbici sarà la nostra rosa./ Ma stà attento che d'un tratto non si sfaldi - resti di rosa - mussola - petalo di Salomone,/ fiore selvatico, inservibile per lo sharbat,/ che non dà profumo, nè olio". Non stenta e non dispera lo scrivere sulla ruvida ghiaia di un'offesa. Raccolta meravigliosa, rara, indispensabile.

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alida airaghi
Recensioni: 5/5

Dopo cinque anni di silenzio poetico, Mandel’štam era tornato alla composizione in seguito a un soggiorno di alcuni mesi in Armenia, paese a lungo vagheggiato e idealizzato per le radici storiche e culturali che glielo rendevano caro: suggestioni bibliche ed echi di tradizioni ebraiche, un passato di invasioni e stermini di cui mostrava le cicatrici, e soprattutto una concreta estraneità all’invisa politica sovietica. La dozzina di poesie “armene” pubblicate in rivista nel 1931, furono accolte con freddezza dai critici per il loro eccesso di letterarietà. Eppure, il sincero entusiasmo che le anima non ha nulla di retoricamente studiato: “Paese di colori andati a fuoco / e di morte pianure di vasai”. Rientrato con la moglie a Leningrado, il poeta patì il clima di freddezza e sospetto del mondo letterario, che lo rinsaldò nell’antica diffidenza verso la città in cui era cresciuto (“Vivere a Pietroburgo è come dormire nella bara”). Se ne allontanò poco dopo, spostandosi a Mosca. Qui compose la maggior parte delle poesie presenti nel libro di cui ci occupiamo, oscillanti tra l’insofferenza per la capitale (“Mosca sgualdrina”, “Mosca buddista”), vissuta miseramente in alloggi promiscui, e un’adesione più sciolta al dinamismo della metropoli, raccontata nelle sue strade, nei tram, nelle fabbriche e nei musei. La stessa ambivalenza ideologica e sentimentale nutrita verso i luoghi, viene manifestata da Mandel’štam nei riguardi del tempo storico: il disprezzo per la contemporaneità (“il secolo scannalupo”) lo induce a esaltare la cultura e la mitologia classica, oppure a rifugiarsi in un onirismo atemporale. L’ultimo ciclo compositivo mandel’štamiano, tradizionalmente considerato difficile, oscuro, provocatorio nei contenuti e oscillante, stratificato, frammentario nello stile, è in realtà un vero e proprio laboratorio multiforme di rimandi letterari e culturali (allusioni, echi, citazioni), di intersecazioni di differenti livelli storici, di polemica sociale e politica.

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Conosci l'autore

Osip Mandel'stam

Osip Mandel’štam è nato a Varsavia nel 1891 e morto nel gulag di Vtoraja recka, in Siberia, nel 1938. È stato uno dei più grandi poeti del Novecento.

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