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Psicoanalisi e antisemitismo
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Descrizione


Nel 1976, Foucault aveva cominciato a delineare i contorni di una storia della psicoanalisi basata sull'"onore politico" che le deriva dall'essere stata (in un'epoca in cui le altre discipline non esitavano a compromettersi con il potere) un'opposizione al fascismo e una reazione al razzismo e all'antisemitismo. Del resto, non è probabilmente un caso se la psicoanalisi è nata e si è sviluppata in contemporanea all'ascesa e all'apogeo di razzismo e antisemitismo: ed è a partire da tale orizzonte che questa antologia si propone di presentare alcuni dei più significativi testi psicoanalitici sull'antisemitismo, da quelli degli albori della disciplina ai più recenti.
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Dettagli

1999
5 ottobre 1999
9788806153038

Voce della critica


recensioni di Giacanelli, F. L'Indice del 2000, n. 03

Il libro di cui ci occupiamo inaugura una nuova collana, ospitata nella "Piccola Biblioteca Einaudi", costituita da piccole antologie costruite con una loro rigorosa coerenza interna. È intitolata "Tracce della psicoanalisi" ed è curata da Pier Francesco Galli.Il volume, curato e splendidamente introdotto da Mauro Bertani e Michele Ranchetti è importante perché apre un orizzonte di comprensibilità dell'antisemitismo per tentare di coglierlo nella sua essenza, andando oltre quella fenomenica esteriore dell'orrifico o comunque del negativo che, una volta sanzionata sul piano etico, sembrerebbe agevole consegnare ad acta. La forza di coinvolgimento del libro sta nel riscuotere il lettore da spiegazioni consuete e monodimensionali, sollecitandolo a riflettere sullo spessore della storia e sulla inesausta complessità dei rapporti tra la dimensione psicologica e quella sociale, economica, ideologica.
La psicoanalisi appare indispensabile per una lettura del fenomeno dell'antisemitismo che scavi nel profondo rispetto a formule di tipo definitorio-cognitivo ed evidenzi le radici della loro potenza diffusiva. Ne sono esempi l'approccio di Martin Wangh attraverso l'indagine sulla struttura del "pregiudizio patologico" inteso come risultato della proiezione inconscia su un outsider di una parte estraniata del Sé, e l'analisi critica di Werner Bohleber dell'opera ben nota di Daniel J. Goldhagen, che fa dell'immagine degli ebrei un "modello cognitivo culturale", fattore costitutivo dell'ordine etico e della cultura della società tedesca in epoca nazista. L'obiezione di Bohleber, che modelli esplicativi di tipo cognitivo, da soli, non possono rendere conto di un fenomeno complesso e coinvolgente come l'antisemitismo, nel quale hanno trovato sfogo nei secoli passioni violente, fantasie di onnipotenza, brutale distruttività, potrebbe estendersi anche a molte formulazioni correnti di indagine/condanna di altri tipi (o rischi) di razzismo.
Dell'illuminante saggio introduttivo mi limito qui a segnalare come molto opportunamente Bertani e Ranchetti richiamino, nella prospettiva d'una storia i cui prodotti permangono e agiscono nelle coscienze sino ai nostri giorni, il fatto che la psicoanalisi emerge in un momento e in un campo definiti del discorso della scienza biomedica, e in particolare della neuropsichiatria: quella scienza, grazie anche al ruolo normativo svolto nella società a partire dalla metà del XIX secolo, offre al razzismo e all'antisemitismo la (pseudo) "razionalità" e il linguaggio che ne consentono la diffusione e l'azione formativa sulle mentalità. La psicoanalisi rappresenterà subito un momento eversivo rispetto al sapere neuropsichiatrico, ed è noto come anche in Italia venisse osteggiata e respinta sin dal suo apparire, molto prima che - identificata come disciplina creata e praticata da ebrei - fosse costretta a subire le conseguenze della discriminazione razziale di Stato. Ma rappresentò anche se non l'unico, almeno il più coerente tentativo di reazione all'ascesa del razzismo antisemita, e sotto questo profilo, affermano i curatori del volume, è importante "esaminare come l'invenzione della psicoanalisi da parte di Freud abbia funzionato come strategia: strategia discorsiva e strategia politica".
L'antologia ha una struttura cronologica e offre al lettore un approfondimento progressivo del problema dell'antisemitismo, lungo un percorso di cui segnalo alcuni momenti essenziali. Si apre con una breve nota del 1938 nella quale Freud, richiesto da Arthur Koestler di un parere sull'antisemitismo, risponde con un autentico artificio letterario, ponendosi in certo qual modo "a lato della domanda", così che il lettore viene confrontato con un enunciato "oggettivo" di condanna dell'antisemitismo dietro il quale si cela lo stesso Freud. Segue un saggio di Otto Fenichel del 1940: il punto di partenza è la "teoria del capro espiatorio" e la ricerca dei motivi per cui gli ebrei sembrano da secoli particolarmente adatti ad assumerne il ruolo, ricerca che porta a considerare soprattutto la tenacia con cui hanno resistito per secoli all'assimilazione da parte delle popolazioni ospitanti. Ma l'estraneità è anche una caratteristica delle pulsioni di ciascuno di noi, e le pulsioni abiette vengono facilmente proiettate sull'ebreo. Perché questo sia avvenuto in proporzioni di massa, Fenichel lo spiega in base alla drammatica situazione sociale ed economica della Germania nel decennio 1925-35: scontento delle masse e tendenza alla separatezza degli ebrei formano una "serie complementare" che dà luogo all'antisemitismo. L'interpretazione di Fenichel è perfezionata da Martin Wangh (1962), che valorizza le esperienze fatte nella prima infanzia - durante la guerra '14-'18 - dalla generazione di tedeschi che poi negli anni trenta diventarono esecutori dei progetti distruttivi della direzione nazista.
Su tutt'altro registro è modulato il saggio di Daniel Sibony (1997), che nell'incipit sembra evocare echi sartriani, e poi si articola nell'analisi del "doppio" straniero, dell'ebreo come "Altro originale" o "oggetto cruciale del transfert d'alterità" e dell'ossessione nazista della cancellazione di ogni traccia dell'ebreo fino a sradicarne il Nome. Un saggio brillante e stimolante che tuttavia indulge a facili artifici espressivi, ad esempio enunciati fulminei che rimangono isolati e inspiegati, o continui cambiamenti di fronte creati con il ricorrere a figure retoriche chiasmatiche, a immagini ardite e a giochi di parole.
Mortimer Ostow, nel suo Mito e follia (1996), prende in esame i miti stereotipi antisemiti comparsi nei secoli in quanto "fattori organizzanti" nella genesi delle campagne di antisemitismo scatenate in situazioni reali di conflitto sociale o economico; in queste situazioni si attiva una fantasia mitica che diviene rapidamente "rivelazione apocalittica" dell'ebreo come "principio del male" e "nemico cosmico".
Il saggio di Grunberger e Dessuant (1997) si muove rigorosamente all'interno di un discorso psicoanalitico centrato sulla dialettica narcisismo-Edipo: l'ebreo rappresenta per l'antisemita l'imago paterna edipica, ma esso non può affrontarla in quanto tale, e solo allontanandola da sé con ogni mezzo può mantenersi nella sua dimensione narcisistica.
Chiude il volume un saggio di Werner Bohleber del 1997, a mio avviso di questa antologia il più intenso e ricco di aperture verso indagini ulteriori. Il tema è la ricerca, in una prospettiva psicoanalitica, di una possibile correlazione tra antisemitismo e nazionalismo. Vista l'inadeguatezza delle formulazioni "cognitive pure", occorre necessariamente chiamare in causa rappresentazioni e fantasmi inconsci. Sulla scorta di una ricca letteratura, Bohleber analizza immagini metaforiche che attivano un universo rappresentativo capace di influenzare la percezione della realtà ("lo spirito tedesco",
la "nazione" ecc.) e tra esse la "biologizzazione" del linguaggio, donde la metafora xenofoba dell'ebreo come insetto e parassita, ma anche quelle del "corpo" e del "sangue" della patria, che suscitano fantasie di appartenenza e di "identificazione interna uniformatrice", con tutti i conseguenti simbolismi di "purezza" connessa al senso di identità. Attraverso il processo psicologico dello "sdoppiamento" si giunge così alla formazione di un "Sé nazista" dominato da quel "delirante narcisismo nazionale distruttivo" che poté giungere a esprimere un "Sé di Auschwitz".
Un'ultima considerazione: le riflessioni psicoanalitiche di questo volume, pur riferendosi all'antisemitismo come fenomeno storico generale, alla fine convergono tutte sull'antisemitismo germanico sfociato nella tragedia della Shoah. La lettura del saggio di Bohleber stimola a chiedersi se non sia ormai tempo per una indagine analoga riferita specificamente al nostro paese. 
Sull'antisemitismo
italiano

Gli ebrei di Pisa (secoli IX-XX), a cura di Michele Luzzati, Pacini, 1998.
Carla Forti, Il caso Pardo Roques, Einaudi, 1998.
L'applicazione della legislazione antisemita in Emilia Romagna, Il Nove, 1999.
Fabio Levi, L'identità imposta. Un padre ebreo di fronte alle leggi razziali di Mussolini, Zamorani, 1996.
Michele Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei. Cronaca dell'elaborazione delle leggi del 1938, Zamorani, 1994.
Giovanni Miccoli, Fra mito della cristianità e secolarizzazione, Marietti, 1985.
Storia d'Italia, Annali 11/1: Gli ebrei in Italia, a cura di Corrado Vivanti, Einaudi, 1997.
La menzogna della razza, a cura del Centro Furio Jesi, Grafis, 1994.
Angelo Ventura, L'università dalle leggi razziali alla Resistenza, Cleup, 1996.
Roberto Finzi, L'Università italiana e le leggi antiebraiche, Editori Riuniti, 1997.
Antonio Vinci, Storia dell'Università di Trieste, mito, progetto, realtà, Università di Trieste, 1997.

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