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Libro limpido, analitico eppure molto coinvolgente; utilissimo per approfondire il complesso meccanismo dello sterminio e conoscerne registi e comprimari. Non è soltanto una ricostruzione della conferenza sul lago berlinese tenutasi il 20 gennaio 1942 fra 15 alti gerarchi nazisti, ma anche la ricerca dei prodromi dell'Olocausto, per tentare di capire quanto vi fosse di premeditato fin dall'inizio, di meccanicamente conseguente, dalle teorie di Hitler fino alla tragedia finale. Il quadro che emerge fin dal primo capitolo è di una serie di atti coerenti ma non automaticamente conseguenti, una serie di spinte e controspinte, tutte correlate al punto di vista di Hitler di un certo momento e alle pressioni degli eventi, tramite soprattutto Himmler e il suo funesto e ambiziosissimo sottoposto Heydrich. Indubbiamente se non vi fosse stato Hitler nulla sarebbe accaduto (p. 62), ma altrettanto vero che alle oscure profezie di Hitler, alla paranoica farraginosità dei suoi monologhi, occorrevano degli abilissimi criminali del calibro dei due sopra ricordati e del loro utilissimo esecutore Eichmann, altrimenti non avrebbero potuto giungere al loro grandioso ed efferato svolgimento. Momento di svolta, il secondo semestre del 1941, con l'invasione dell'URSS e l'incrudelirsi della guerra in sterminio di massa di partigiani sovietici ad opera delle SS e degli Einsazgruppen. Fino al marzo 1942, soprattutto i sovietici erano stati le vittime e soltanto il 10% degli ebrei erano stati sterminati, mentre nei successivi 12 mesi, venne distrutta la metà delle vittime ebree finali (p130). La famosa conferenza e il protocollo che ne scaturì sono lo strumento principale della svolta, il "cartellone pubblicitario" dello sterminio, con cui Heydrich tenta di prendere il sopravvento nella sua organizzazione definitiva, coinvolgendo gli apparati dello Stato in veste subordinata. Da leggere infine il testo completo della famosa minuta.
Recensioni
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Nel libro si pone la conferenza di Grossen Wannsee al culmine di una molteplicità di fattori causali: la posizione hitleriana l'antisemitismo della destra radicale tedesca il carrierismo dei gerarchi le pressioni economico-politiche del secondo conflitto mondiale il fallimento dei piani "logistici" per la concentrazione degli ebrei in Madagascar e in Siberia. Nell'interpretazione dell'autore – che si colloca a metà strada nel dibattito storiografico fra "intenzionalisti" e "strutturalisti" – Wannsee non rappresenta "il momento della decisione" ma "coglie perfettamente una decisiva transizione della politica tedesca la transizione dalle pur letali deportazioni a un chiaro programma di sterminio". Il Protocollo secondo Roseman fu dunque una sorta di "cartellone pubblicitario su cui c'era scritto che il genocidio faceva ormai parte di una politica ufficiale". Collocandosi lungo una linea di ricerca rappresentata dalle indagini regionali sull'Olocausto in Polonia e nell'ex Unione Sovietica compiute da giovani storici tedeschi su fonti provenienti dagli archivi dell'ex blocco sovietico Roseman individua in Wannsee la medesima logica di feedback: l'atto dell'uccidere dava origine all'idea del genocidio quanto quest'ultima portava all'atto dell'uccidere. In tal senso l'incontro del 20 gennaio 1942 si staglia come un importante momento nel processo di conversione dell'omicidio di massa in genocidio.
Francesco Cassata
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