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recensione di Boatto, A., L'Indice 1995, n. 5
In questo volumetto appassionante e provocatorio tutto corrisponde con puntualità alle leggi rigorose del pamphlet. Ecco le settantun pagine dello svolgimento, la distribuzione della materia in dodici capitoletti, la brevità tagliente dei periodi che corrono con efficacia verso il punto tipografico. Con non minore coerenza, pure l'intero contenuto converge precipitando verso un unico centro: la nozione di "guerra civile molecolare". Questa nozione onnicomprensiva annette qualsiasi conflitto, misfatto, disastro, episodio di violenza che, con impressionante simultaneità, stia insanguinando oggigiorno la superficie totale del globo. "Guerra civile molecolare" la lotta fratricida battuta nell'ex Jugoslavia ma anche il terrorismo dei fondamentalisti islamici, il delitto intimidatorio della mafia ma anche l'incursione di un gruppo di naziskin in un quartiere turco di Berlino, i saccheggi perpetrati dai negri a Los Angeles come la sopraffazione dei narcotrafficanti sudamericani. Le cause? La fine della guerra fredda, la scomparsa di un mondo diviso tra due potenze planetarie, l'unità tecnica ma non affatto politica raggiunta dal globo. Tutto questo ha fatto esplodere un tipo di violenza disseminata, frammentaria e incontrollabile. Essa non può n‚ vuole in sostanza fare ricorso a nessuna copertura ideologica n‚ politica: si presenta come un fenomeno chiuso in se medesimo, cieco, privo di obiettivi, non motivato. Ciò che manifesta di più profondo e di più inquietante è una chiara vocazione autodistruttiva.
Fino a qui il libro non contraddice nessuna delle regole formali di un pamphlet di buon livello. Sennonché, con uno strappo improvviso, esattamente a pagina 46, assistiamo a qualcosa di molto simile a uno sbandamento. Come non ha mai confessato nessun pamphlettista, Enzensberger confessa di aver finito per smarrirsi nel vortice della guerra civile molecolare che lui stesso sta inseguendo con ricchezza di documentazione e intelligenza di argomenti.
Distinguere, mettere ordine per lo meno sul piano dei concetti nel caos odierno, si rivela già un gesto difensivo, una dimostrazione di superiorità rispetto al vortice-vertigine che confonde, risucchia, perde. Bisognerà allora spezzare la nozione troppo compatta introdotta da Enzensberger, passare dall'unità, che si presenta di per sé sempre pericolosa, alla pluralità, evitare il pareggiamento. Esiste dunque molto più semplicemente da una parte, la "guerra civile" che si manifesta anche ai nostri giorni in forme "classiche" e non affatto "molecolari", e la "criminalità" dall'altra, estesa non tanto in senso molecolare bensì come un a peste, un avvelenamento del sangue, un contagio di Aids. Criminalità tanto poco parcellare da rivelarsi fortemente organizzata, strutturata in sistemi gerarchici e fornita di grandi diramazioni. Ed esiste infine la criminalità spicciola, questa sì effettivamente molecolare, rara pur nella sua insidiosità, di portata e di peso del tutto secondari.
In qualsiasi forma possa manifestarsi, la guerra civile presuppone pur sempre la formazione di due schieramenti dichiarati, avversi, armati, combattenti. Produce due fronti schierati l'uno contro l'altro e operanti nella continuità dello stesso spazio geografico. Per questo è guerra "civile", "fraterna", "fratricida".
Ma tutto quanto, forse, di più distruttivo e sconvolgente interessa i cosiddetti paesi sviluppati - dall'Europa occidentale all'America del Nord - non offre affatto questo connotato di apertura e di visibilità, che rimane il segno più spiccato della "guerra" come della stessa guerra civile. La violenza ostenta una natura molto più subdola, segreta, maggiormente vile, simile piuttosto a una malattia devastante che a una guerra civile. La mafia, potenza veramente planetaria, presenta questa diramazione segreta e non frammentaria e la lotta che si ingaggia contro il suo strapotere resta una faccenda di polizia e non di eserciti, una lotta condotta nella segretezza e nell'astuzia e priva di fronti visibili.
La causa forse centrale di questa moltiplicazione di violenza è però assai più radicale. Essa trova la sua origine nella nuova natura che sta assumendo qualsiasi stato e, dunque, il potere, assieme alle sue forze armate. La "guerra civile" occupa, dimora, agisce saldamente nel territorio, nella concreta visibilità dello spazio orizzontale. Mentre lo stato tende a dislocarsi dal territorio o, per lo meno, a controllarlo, diciamo, a conservarvi l'ordine e la pace servendosi di strumenti che non sono affatto terrestri ma di natura opposta: di natura specificatamente aerea. Il paragone illuminante è col 'romanum imperium'. Come Roma teneva il vastissimo impero mediante lo sviluppo e il controllo delle strade, con allacciate le città e gli accampamenti dei soldati, così oggi lo stato, a cominciare dalla superpotenza americana, controlla il proprio territorio mediante il dominio delle vie aeree. Si tratta della rete informativa - onde radio, circuiti tv, telefoni cellulari, satelliti - e di quella comunicativa - elicotteri, aerei. Di maggiore condizione terrestre restano gli aeroporti, che sono però effettivamente dei "porti dell'aria".
Ci si è fatti sempre un'idea illusoria della reale estensione dell'impero romano: in certe regioni periferiche Roma non andava più in là del tracciato delle strade e dei 'castra' permanenti. Così, a maggior ragione, quando lo stato dispone di una struttura mobile, velocissima ma fluttuante e non visibile, come risultano non visibili le linee informative e comunicative, non già al di là ma all'interno di questa struttura si slargano le odierne "sacche vuote", dove possono imperversare i violenti, il crimine organizzato o, più semplicemente, i "diversi". 'Hic sunt leones': in questi interstizi anche le "guerre civili" trovano necessariamente il loro spazio.
Vogliamo una comprova? Unicamente le vere guerre civili - non tutte quelle dunque indicate da Enzensberger -, come la guerra civile nella ex Jugoslavia, sono ancora con inevitabilità guerre terrestri, combattute nell'orizzontalità della terra, condizionate a una conformazione montana, a un fiume, a una città. Mentre tra stati regolari non incontriamo più guerre terrestri, bensì solo guerre organizzate nella verticalità aerea, giocate e risolte nell'aria e dall'aria. L'esempio più drammatico rimane il conflitto combattuto nel Golfo Persico. Potremmo raffigurarlo come un monologo interpretato dalla potenza che, disponendo della supremazia aerea, occupa senza contrasto il volume dell'aria. E che assegna all'altro, al proprio avversario - inchiodato in una porzione di terra - la passività della sola difesa. Meglio, il fatale ruolo di sconfitto in partenza.
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