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Il prigioniero. Vita di Antonio Gramsci - Aurelio Lepre - copertina
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Il prigioniero. Vita di Antonio Gramsci - Aurelio Lepre - copertina

Descrizione


Gramsci non fu prigioniero solo nelle carceri fasciste. Soffrì anche una prigione invisibile, liberamente scelta, in cui lui stesso si chiuse, per essere coerente con la sua visione del mondo. L'uomo privato e l'uomo pubblico: nel racconto della vita di Gramsci, Aurelio Lepre intreccia strettamente le due dimensioni, arrivando su ambedue a conclusioni del tutto originali.
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Dettagli

1998
18 settembre 1998
278 p., Rilegato
9788842055785

Voce della critica



Lepre, Aldo, Il prigioniero. Vita di Antonio Gramsci, Laterza , 1998
Fondazione Istituto Piemontese Antonio Gramsci (a cura di), Il giovane Gramsci e la Torino di inizio secolo, Rosenberg & Sellier, 1998
recensioni di Gervasoni, M. L'Indice del 1999, n. 03

Pochi sono i protagonisti politici del Novecento italiano che possono vantare, come il "Grande Sardo", ponderose libbre di carta a lui dedicate.Eppure più si incrementano gli studi più sembrano aprirsi nuove zone d’ombra, regioni oscure ancora tutte da sondare.Segno della vitalità di questo autore, oltre che del suo profondo radicamento in un paesaggio nazionale e internazionale, tanto in vita quanto post mortem.

Uno degli antri oscuri degli studi gramsciani è da cercarsi nel dominio biografico.Vuoi perché nei decenni passati si sono predilette letture che illuminassero la complessità delle sue teorie, vuoi per la mancanza di documentazione, resta il fatto che interi momenti della vita di Gramsci ci sono ancora largamente ignoti.Per dirne una, il periodo russo e poi quello viennese.

La biografia di Lepre, lo si dica subito, non intende colmare queste lacune, che richiederebbero lavori di certosino scavo.Piuttosto, lo storico napoletano ha voluto raccontare la vita di un personaggio politico dell’Italia della prima metà del secolo da un’ottica che ne riducesse il carattere di totus politicus, e ne mettesse in rilievo i caratteri familiari, intimi, quotidiani.Operazione interpretativa e non di semplice alchimia, se è vero che, per un comunista come Gramsci, la vita privata e quella pubblico-politica erano inscindibili. Il comunismo infatti era per lui una sorta di religione della mobilitazione incapace di riconoscere i confini tra la prima e la seconda.

Da questa interpretazione consegue lo spazio preponderante assegnato dall’autore al Gramsci in carcere, mentre il Gramsci torinese, quello ordinovista e poi dirigente comunista, è affrontato con taglio più rapido.Invertendo così le parti della più celebre biografia di Gramsci, quella di Giuseppe Fiori (Vita di Antonio Gramsci, Laterza, 1989), che era invece rimasta piuttosto silenziosa sul carcere.E pour cause, visto che allora non si conosceva ancora nella sua interezza il corpus di lettere tra Gramsci e Tania Schucht, pubblicato lo scorso anno da Einaudi, a cura di Chiara Daniele e Aldo Natoli, e utilizzato da Lepre come fonte quasi esclusiva per il periodo carcerario.

Il biografo coglie giustamente la portata di molte delle lettere di quell’epistolario che, anche a una prima rapida lettura, restituiscono un profilo di Gramsci diverso da quello precedentemente noto.Ma la scelta di porre in rilievo gli anni della prigione mostra il carcere come una sorta di luogo di produzione culturale, da cui scaturiscono nuovi immaginari.È in carcere che Gramsci viene per la prima volta in diretto contatto con i meridionali e con quel proletariato che prima aveva conosciuto solo nelle forme un poco sublimate dell’"Ordine nuovo" o di quelle del rivoluzionario di professione leninista.È in carcere che Gramsci acquisisce una sensibilità nuova da cui, secondoLepre, sarebbero uscite molte delle direttive teoriche dei Quaderni.Il volume avrebbe poi potuto intitolarsi, riprendendo un vecchio libro di Paolo Spriano, "Gramsci in carcere senza il partito", visto che il comunista sardo raccontato da Lepre ha la perfetta sensazione di essere stato abbandonato, di vagare in un vuoto, di doversi confrontare con un’idea di comunismo che prende aspetti tanto più allegorici quanto più cresce il suo isolamento. E che gli consente quell’operazione di decomposizione e di analisi – di "decostruzione"? – attuata nei Quaderni.

Vista da quest’ottica, la biografia di Lepre, se non porta materiale documentario nuovo, ha però il merito di fornire, anche a un pubblico più vasto di quello comunque ancora popoloso dei gramsciologi, un ritratto a tutto tondo e più sfaccettato di quanto non lo si fosse ottenuto in precedenza. Ed è anche per questa ragione che diventano meno importanti quelle pagine in cui l’autore veleggia rapidamente su aspetti che sono ancora materia di discussione e di ricerca presso gli studiosi –
come appunto quello dell’"abbandono" di Gramsci da parte delPci o quello dei rapporti tra Gramsci e Togliatti dopo il 1926.

A suo modo un’impostazione biografica è attribuibile anche al volume Il giovane Gramsci e la Torino d’inizio secolo, che riporta gli atti di un convegno svoltosi nel 1997 alla Fondazione Gramsci del capoluogo piemontese.Impostazione biografica, perché qui è il "giovane Gramsci" a essere oggetto di indagine, benché poi non sia chiaro che cosa all’epoca si intendesse per "giovane", e i contributi si fermino cronologicamente alle porte dell’"Ordine nuovo", quasi a sottendere una lettura tradizionale del Gramsci che avrebbe iniziato a essere "maturo" a partire da quell’esperienza.

E invece il Gramsci dell’"Avanti!" e del "Grido del popolo", autore febbrile di uno o più articoli quotidiani, nell’Italia impegnata in guerra, è ancora per più versi misterioso, autonomo com’è, questo "giovane" Gramsci, da quello ordinovista.Ben riescono a descriverlo molti dei contributi ospitati qui.Ad esempio quello di Angelo D’Orsi, che illustra le complesse reti intellettuali torinesi negli anni dieci-venti, a cui prese parte anche Gobetti, oggetto dell’intervento di Franco Sbarberi; quello di Franco Livorsi, che rende problematica la lettura gramsciana del bolscevismo fino al 1920, restituendola forse per la prima volta come per niente affatto scontata; mentre l’intervento di Marco Scavino illustra la solitudine culturale di Gramsci nell’ambiente socialista torinese, solitudine da outsider da cui nacquero proposte nuove.Interessanti sono poi anche quegli interventi non esplicitamente rivolti a Gramsci, ma alla Torino di quegli anni, come quello di Carlo Olmo sull’urbanistica torinese d’inizio secolo e quello di Bartolo Gariglio sui cattolici piemontesi (con cui spesso il Gramsci di quegli anni si confrontò).Chiudono il volume interventi per così dire più politici, ma non per questo meno interessanti, di Bruno Trentin, Gian Enrico Rusconi, Giuseppe Vacca e Luciano Violante.

Volumi come questi – e altri ne usciranno nei prossimi mesi, frutto dei lavori dell’anniversario gramsciano del 1997 – ci mostrano come stiano nascendo e muovendo i primi passi nuove interpretazioni di Gramsci, magari più "archeologiche" e meno "politiche" che in passato, ma tanto più proficue per la comprensione di Gramsci e, per suo tramite, dell’identità europea del nostro XX secolo.

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