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Politica internazionale. Storia e teoria - Ekkehart Krippendorff - copertina
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Politica internazionale. Storia e teoria - Ekkehart Krippendorff - copertina

Dettagli

1991
1 gennaio 1991
368 p.
9788820718459

Voce della critica


recensione di Boehme-Kuby, S., L'Indice 1991, n.10

Questa ampia panoramica storica sullo sviluppo politico del mondo, a partire dalle prime manifestazioni espansionistiche del capitalismo europeo (fine del secolo XV), esce in Italia con notevole ritardo rispetto all'edizione tedesca dei due studi di Krippendorff sulla storia e teoria delle relazioni internazionali (1975-77), riuniti in un unico volume nel 1986. Ma la decisione di riproporre i suoi studi senza aggiornamenti empirici o scientifici viene motivata dall'autore con la persistente validità "delle tendenze e delle leggi qui accennate"(p. 15).
Le recenti trasformazioni dello scenario internazionale non erano prevedibili nei loro termini concreti, ma l'analisi di Krippendorff del periodo postbellico (capp. 13 e 14) mette in luce i principali fattori che hanno determinato in seguito il definitivo ritiro dell'Urss dalla scena mondiale.
Le "condizioni agevolate per una riorganizzazione del sistema internazionale secondo i bisogni e gli interessi degli Usa" dopo il 1945 avevano sì trovato un "limite notevole nella presenza dell'Urss" (p. 267), ma la precaria situazione economica dopo il dissanguamento bellico e l'eredità di società economicamente arretrate dell'Europa orientale non permisero all'Urss di "opporre una politica estera altrettanto aggressiva nei confronti della strategia americana" (p. 268), e di fatto l'Urss favorì, "suo malgrado e spinta dalla necessità, la restaurazione del sistema capitalistico, soprattutto nelle metropoli" (p. 269). L'esigua partecipazione dell'economia sovietica al commercio mondiale determina la sua relativa passività in politica estera, cioè quella coesistenza pacifica che appare sempre più orientata nei conflitti internazionali, "a ristabilire e a consolidare lo status quo, e anche qui solo di rado riesce ad ottenere successi" (p. 270).
La concentrazione coatta della politica estera (ed anche interna) sulla salvaguardia del proprio potere ha dunque "causato l'indebolimento dell'Urss quale centro militante dei grandi movimenti rivoluzionari del mondo e la sua trasformazione in grande potenza aperta alla cooperazione" (p. 271). Questo processo ha portato l'Unione Sovietica verso una dipendenza crescente dal mercato mondiale. Se d 'ora in poi l'acclamata liberalizzazione delle strutture economiche porterà l'Urss a un'effettiva subordinazione alle leggi capitalistiche, ciò accentuerà, prevedibilmente, la tendenza verso il sottosviluppo, già messa in rilievo da Krippendorff come caratteristica strutturale del commercio estero sovietico (export di materie prime contro prodotti finiti).
"Tutto sommato il capitalismo è la base più giusta della società, e... esso è destinato a durare per sempre o almeno per un tempo indeterminato", così lo storico Bernal (cit. da Krippendorff a p. 24) aveva descritto lo stato d'animo borghese anche dopo il primo crollo dell'ordine mondiale ottocentesco, dominato dalla pax britannica, crollo che comunque aveva diffuso la coscienza di crisi mondiale, dalla quale nacque l'esigenza di nuovi strumenti politici, atti a impedire futuri massacri. Questo compito venne affidato alla giovane scienza delle relazioni internazionali, il che "significava, perciò, codificare... interessi fondamentalmente armonizzabili all'interno della società mondiale, che appariva come estensione naturale della società "naturale" degli Stati nazionali" (p. 25). Nacquero le prime organizzazioni plurinazionali, preposte alla soluzione pacifica dei conflitti, che - dalla Società delle Nazioni alle Nazioni Unite - hanno sempre fallito nei loro compiti (si vedano le recenti vicende mediorientali). Krippendorff ha elaborato la sua teoria critica delle relazioni internazionali, quindi, in polemica con le teorie accademiche di stampo positivista borghese, tuttora dominanti in versioni più o meno aggiornate.
"La drammatica discrepanza, oggi evidente per tutti, fra società povere e ricche non è altro che il prodotto dell'unificazione del mondo all'insegna dell'europeizzazione, è il prodotto, cioè, dell'affermazione del capitalismo come sistema globale" (p. 44). Il sottosviluppo non corrisponde a "una situazione di stagnazione del mondo povero, di arretratezza rispetto alla dinamica dei paesi industrializzati con la conseguente necessità di un ricupero accelerato": rappresenta invece un processo dinamico, ovvero la trasformazione di società non-capitalistiche "in appendici degli interessi economico-politici e dei bisogni delle metropoli" (p. 343). La possibilità di emancipazione sono dunque legate, per Krippendorff, al superamento del modo di produzione capitalistico. Ma dopo aver constatato il sostanziale fallimento della classe operaia nel centro del sistema capitalistico e la decisiva sconfitta del suo potenziale rivoluzionario europeo durante il fascismo - e considerata la debolezza strutturale dei movimenti di liberazione della periferia rispetto al potere delle metropoli - la prospettiva dell'emancipazione non può che restare vaga: "Ma le forme in cui si manifestano i movimenti antiimperialistici e anticapitalistici non si possono prevedere in astratto" (p. 345).
A questo proposito sarebbe stato utile al lettore italiano aver ricevuto da Krippendorff nella sua prefazione, qualche elemento di informazione più ampia circa i suoi recenti studi sul nesso tra stato e guerra, dove definisce la corsa agli armamenti e la conseguente minaccia di annientamento reciproco "manifestazioni di patologia politica" e, come tali, "elementi molto più antichi" dello stato capitalista (p. 15). La stessa concezione di un sistema internazionale dominato da una o più superpotenze, nel quale "si manifesta a livello macro-politico la disfunzionalità del potere, volto essenzialmente a mantenere diseguaglianze estreme, che, dal canto loro non possono più venir giustificate "oggettivamente", viste le capacità produttive raggiunte", lo induce a parlare di "un sistema di riproduzione macropatologico " (p. 44). Il contrasto nord-sud ovvero il nodo capitalismo-sottosviluppo, indissolubili all'interno dell'attuale ordine mondiale, fanno prevedere futuri conflitti nel terzo millennio tra periferie e centro: la recente guerra del Golfo è stata solo un'avvisaglia.

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Politologo tedesco, convinto pacifista, ha insegnato Scienze Politiche alla Freie Universität di Berlino fino al 1999, oltre a essere stato professore di Relazioni Internazionali alla John Hopkins di Bologna e all’Università di Siena. In Italia, tra le sue opere, Fazi Editore ha pubblicato L’arte di non essere governati (2003), Critica della politica estera (2004) e Shakespeare politico (2005) e Le commedie di Shakespeare (2014).

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