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Le biografie rock non autorizzate si confermano le meglio scritte e le meno parziali, in considerazione forse della non necessaria approvazione (o quanto meno dell'assenza in fase di stesura) degli artisti di cui si raccontano le gesta). Qesto Schaffner sa scrivere, e la sua passione appare geenuina. Si parte con i Floyd "formato Barrett" con la presenza stimolante dal punto di vista creativo ma ingombrante per la sua incipiente deriva psicologica del giovanissimo talento (qualcune direbbe genio, ma francamente il termine pare eccessivo) di Cambridge, estromesso dal gruppo, cui non era più in grado di dare alcun apporto, già nel '68. Poi i grandi successi di Dark Side, di Wisch you were here fino al "gigantismo" forse megalomane di The Wall con la figura di Roger Waters sempre più dominante e autoreferenziale a schiacciare il resto della band, che con crescente malessere sopporta la leadership del cupo ma vulcanico bassista, in particolare Gilmour, chiatarrista e contraltare "creativo" dei Floyd. La biografia, gustosa nella rievocazione di quegli anni settanta in cui fu abbandonata l'utopia di una musica rock manifestazione di libertà espressiva ed ideologica, capace di farsi voce di una generazione desiderosa di aspirare ad un mondo "nuovo" libero dai meccanismi tipici del capitalismo, per diventare invece "industria" a tutto tondo, con le major discografiche voracissime nello spartirsi profitti a nove zeri e pronte a soffocare l'autonomia dei musicisti, laddove questa possa compromettere i guadagni. E ad essa il gruppo inglese non seppe sottrarsi, anzi fu forse tra le grandi band la più borghese e musicalmente meno spontanea, con quella musica che attingeva a piene mani dall'elettronica, studiatissima in ogni dettaglio,con i megaconcerti multimediali ante-litteram. Non mancano clichè fastidiosi (l'uso smodato dell'aggettivo "lisergico", il dualismo tra la "buona" droga e il "cattivo" alcool) e certe lungaggini narrative (la gestazione del film The Wall).
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