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Pikionis 1887-1968 - Alberto Ferlenga - copertina
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Pikionis 1887-1968 - Alberto Ferlenga - copertina

Dettagli

1999
1 gennaio 1999
352 p., ill.
9788843555475

Voce della critica


recensioni di Dal Co, F. L'Indice del 1999, n. 03

L'opera di Dimitris Pikionis (1887-1968) rappresenta uno dei vertici rimossi dell'architettura del Novecento. Se si escludono alcune pubblicazioni pionieristiche ma scarsamente attendibili, e due vaste raccolte di disegni e di riproduzioni di dipinti date alle stampe in Grecia, la letteratura dedicata all'opera dell'architetto greco è limitata e inaffidabile. Ignorata dalla maggioranza dei cultori di architettura, travisata dai pochi che si sono interessati dei suoi edifici e studi, così difficili da interpretare e apprezzare da chi non vi si avvicina con ansia filologica, l'opera di Pikionis viene ora adeguatamente presentata per merito del libro di Electa.

Ferlenga ha compiuto le sue ricerche nell'archivio di proprietà della figlia di Pikionis, Agni, ad Atene, dove sono conservati in gran numero i disegni che l'architetto approntò per i suoi non molti progetti, una raccolta di dipinti e altri documenti relativi alla sua produzione teorica. Tutti coloro che si soffermeranno sulle accurate riproduzioni dei disegni pubblicate nel libro potranno avvertire la profondità della cultura che vi è riflessa, la ricercatezza delle loro espressioni, l'originalità inquietante del pensiero sotteso a ciascun progetto. Parimenti, quanti leggeranno il saggio introduttivo di Ferlenga e gli scritti di Pikionis finalmente disponibili nella bella traduzione di Monica Centanni (un'autorevole grecista, autrice del raffinato commento che li precede) si renderanno conto di come questo volume offra documenti preziosi, di cui sarà impossibile non tenere conto allorché si tenterà di dettagliare ulteriormente la mappa dell'evoluzione del pensiero architettonico contemporaneo.

Le Note autobiografiche che Pikionis redasse nel 1967 sono state pubblicate nel volume electiano per la prima volta in modo corretto. Centanni, infatti, è riuscita a superare brillantemente, affrontando questo testo fondamentale (che può interessare lettori di formazioni diverse), le ardue difficoltà che presentano tutti gli scritti dell'architetto - sino ad ora tradotti parzialmente e sciattamente -, ordinati nella parte conclusiva del volume. Avendone analizzato la lingua, un'originale mescolanza di linguaggio parlato e greco antico, Centanni ha dimostrato acutamente come per Pikionis "parlare e scrivere greco non fosse altro che imparare a ricordare, ritrovare parole e sintagmi, risentire l'eco profonda dei suoni e dei significati", dato che dall'insegnamento eracliteo egli aveva appreso che "qualora abbiamo in comune fra noi la memoria, allora conosciamo la verità; qualora invece operiamo singolarmente, siamo nel falso". I progetti di Pikionis, coerentemente con il suo pensiero sulla lingua, seguono il cammino che conduce alla pienezza di un fare fondato sull'identificazione di invenzione e ritorno, tangibile dimostrazione di come la grandezza dell'architettura (e di quella contemporanea in particolare) si dispieghi lì dove essa si realizza quale "antichissima panarchia", non "come heuresis, scoperta, ma come invenzione: ritrovamento", continua interrogazione.

La formazione di Pikionis, scandita dai soggiorni a Monaco e in Germania, a Parigi e Roma, fu segnata dagli incontri con le opere di Cézanne, von Marées, Böcklin, con la frequentazione di De Chirico (ricordata in una pagina memorabile delle Note autobiografiche), di Parthenis e dei giovani raccolti intorno alla rivista "Tri mati" ("Il terzo occhio"), per poi completarsi con le indagini e gli studi dedicati all'architettura greca tradizionale, all'"arte popolare". Forte delle esperienze giovanili, Pikionis contribuì a diffondere in Grecia il linguaggio dell'architettura radicale europea, costruendo il complesso scolastico del Licabetto "intorno al 1932", di fatto la sua prima realizzazione di ampio respiro. Ma dopo aver completato quest'edificio, come egli sostenne, "non mi sentii soddisfatto e fu allora che pensai che lo spirito universale doveva trovare una sintesi con lo spirito della nazione greca". Ferlenga non manca di cogliere il significato della svolta, da quest'opera precocemente determinata, che segnò la via intrapresa da Pikionis con le imprese della maturità, irriducibili a qualsiasi altra esperienza coeva, a qualsivoglia "ismo" contemporaneo. Tra queste, alcune realizzazioni, pur nel variare delle contingenze di cui furono conseguenza, sono da accogliere tra i capolavori dell'architettura contemporanea.

Il villaggio forestale costruito a Pertouli (1953-56) è una conturbante dimostrazione dei modi in cui Pikionis si sforzò di coniugare logos e mneme, ragione e memoria, tentando di dare una risposta, se così è lecito dire, a una tra le più inquietanti domande con cui l'architettura d'Occidente si è confrontata, e non solo da quando le luci del crepuscolo hanno iniziato a diffondersi sul suo orizzonte.

La sistemazione della zona archeologica intorno all'Acropoli di Atene e il connesso centro di accoglienza di San Dimitris Loumbardiadis materializzano l'assoluta dedizione che a esse Pikionis dedicò negli anni compresi tra il 1954 e il 1958. Per comprendere il significato di quest'opera della vita, alla quale l'architetto consacrò ogni energia (ricordando le parole di Eschilo: "il mortale deve imparare attraverso il dolore"), nulla è più utile dei versi di un "poemetto" che lo stesso Pikionis scrisse, dando ragione della tensione che anima la sua architettura: "PIETÀ / Tu, Dio, hai messo ovunque leggi / concedimi di seguirle, concedimi di non profanarle".

L'ultima costruzione che Pikionis realizzò è un'opera scintillante di cultura e maestria. Si tratta del parco giochi di Filothei ad Atene (1961-64). Su un impianto disegnato con eloquente acribia matematica, la mano dell'architetto ha qui convocato, con figure direttamente prelevate dall'archeologia ellenistica, soluzioni e precisissimi dettagli costruttivi mutuati dall'architettura giapponese pre-Edo. Tra sapienti sistemazioni paesaggistiche si levano all'interno di questo miracoloso recinto il guscio di una nave dal fasciame compromesso che ricorda quella di Ulisse, un gigantesco elmo acheo, mentre a nessun episodio di una narrazione complessa e stupefacentemente variata è consentito sottrarsi a un'attenzione geometrica e a una cura costruttiva inflessibili. Qui il cammino compiuto da Pikionis ("la verità è che come nel mito di Eracle al bivio - come nella 'Y' che di quel mito è cifra - le vie che si aprivano al giovane architetto non erano due, ma tre", osserva giustamente Centanni) e la sua ricerca si concludono e compendiano con assoluta coerenza.

"Cézanne mi ha condotto lontano dagli ideali d'Occidente: l'Oriente e Bisanzio mi rivelarono che la creazione di una lingua simbolica astratta della natura e della materia della mimesi è la sola strada spiritualmente degna", si legge nelle Note autobiografiche. Le pagine che contengono questo passo chiariscono perché l'opera di Pikionis è espressione di un fare tanto inattuale quanto è scandaloso il pensiero che in esso si esprime. Il parco giochi di Filothei, infatti, è uno dei rari moti di rivolta che l'architettura contemporanea europea ha saputo opporre all'inclinazione che la induce a resistere al proprio compimento, per decidere invece di accompagnare, interrogandolo, il tramonto che l'attende - dato che lì è anche il suo futuro.

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