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I libri su Hollywood, si sa, esercitano sempre un certo fascino sui lettori, e non è necessario essere cinefili per provare curiosità nei confronti delle monografie che rievocano gli anni d'oro del cinema americano, soprattutto quando sono punteggiate da aneddoti e testimonianze di prima mano. Ancora oggi si ricordano le pagine roventi e maledette di Hollywood Babilonia, mastodontica opera del cineasta underground Kenneth Anger, che scrisse un atto d'accusa al vetriolo contro il mondo dello spettacolo americano.
Il libro di Lillian Ross, tradotto per la prima volta in italiano a distanza di cinquantadue anni dalla sua pubblicazione negli Stati Uniti, è però di segno completamente diverso ma non per questo meno importante e "politico". Giornalista del "New Yorker", Ross aveva iniziato a frequentare il mondo del cinema per seguire le sedute d'inchiesta della Commissione per le attività antiamericane, che aveva messo sotto processo famosi registi, sceneggiatori e attori hollywoodiani sospettati di appartenere al Partito comunista. Erano gli anni del maccartismo e il cinema pareva a qualcuno un ottimo mezzo per diffondere idee pericolose e sovversive. John Huston non fu mai chiamato in causa, ma la giornalista ebbe modo di conoscerlo e dal loro incontro nacque l'idea di scrivere un reportage, diventato poi un volume, sulla lavorazione di La prova del fuoco (The Red Badge of Courage, 1951).
Huston era solo al suo quarto lungometraggio, ma il successo di Il mistero del falco e di Il tesoro della Sierra Madre gli aveva garantito una notevole credibilità e un vantaggioso contratto con la Mgm. Il film, oggi sostanzialmente e ingiustamente dimenticato, racconta la storia di una giovane recluta alle prese con gli orrori della guerra di secessione. Tratto da un famoso romanzo di Stephen Crane, La prova del fuoco ebbe una gestazione lunga e difficile, o forse sarebbe più corretto definirla indolente, poiché la stessa Mgm dimostrò più volte di non credere nel progetto, in particolare quando Huston scelse come protagonista Audie Murphy, un giovane attore poco noto perfetto per la parte ma poco significativo per le strategie di marketing della major controllata dal mitico produttore L. B. Mayer. In quel periodo, fra l'altro, iniziava a farsi preoccupante la minaccia della televisione, presente ormai nelle case di molti americani. Huston, un regista che non scendeva mai a compromessi, riuscì a imporre la propria volontà e fece il film esattamente come l'aveva ideato.
La grandezza del libro di Lillian Ross sta tutta nella capacità della giornalista di raccontare la vita quotidiana di un set cinematografico evidenziandone la normalità e non il glamour, penetrando negli ingranaggi della macchina-cinema hustoniana con la leggerezza e lo stupore di chi appartiene a un altro mondo. Hemingway, come riportato anche nelle note di copertina, definì Picture "di gran lunga migliore della maggior parte dei romanzi". Difficile essere in disaccordo.
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