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Piccolo teatro - Ana M. Matute - copertina

Descrizione


In una immaginaria cittadina sul mare, che vive di pesca e di turisti, di cui si indovinano le tetre giornate dell'inverno, e la ricchezza gelosa della propria distinzione dovuta più alla rendita di posizione che al dinamismo, si intrecciano i destini di quattro personaggi al margine della vita sociale. Sono un ricchissimo proprietario venuto su dal nulla, vedovo solitario e ossessionato da un sogno di grandezza. Sua figlia, sprezzante selvaggia, eccentrica anche nel fisico, permanentemente accompagnata dal mormorio di un ambiente che la tollera solo per rispetto alla famiglia di sua madre. Il ragazzino orfano cresciuto nel porto, con fama di idiota e fannullone. Il forestiero, biondissimo, elegante, disceso dalla nave con un vento esotico.
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Dettagli

2003
26 febbraio 2004
264 p., Brossura
9788838919084

Voce della critica

Autrice di una vastissima opera letteraria che spazia dal romanzo realista alle narrazioni per bambini, Ana María Matute (1926) è una delle voci femminili più significative della letteratura spagnola novecentesca. La sua lunga traiettoria artistica, iniziata nel 1947 con il romanzo Los Abel, passando per opere insignite di prestigiosi premi letterari, l'ha portata, nel 1996, a un seggio nella Reale accademia spagnola della lingua. Piccolo teatro è la sua opera prima, scritta a soli diciassette anni, ma pubblicata nel 1954, quando Matute vinse il premio Planeta. Da noi sono già usciti diversi titoli posteriori, come I bambini tonti (Lerici, 1964), Dimenticato Re Gudù (Rizzoli, 1996), Prima memoria (Sellerio, 1997) e Cavaliere senza ritorno (Sellerio, 1999). Questo romanzo d'esordio inaugura una serie di opere incentrate sul mondo dell'infanzia e dell'adolescenza, dove la realtà è percepita attraverso lo sguardo dei piccoli protagonisti che si muovono, terrorizzati, sullo sfondo della guerra civile spagnola o dell'immediato dopoguerra. Di contro, tuttavia, all'imperante realismo sociale di quegli anni, Piccolo teatro si arma di atmosfere fiabesche e di un linguaggio simbolico per narrare la meschina quotidianità della Spagna franchista.

La storia si svolge a Oiquixa, immaginaria cittadina dei Paesi Baschi, dove si intrecciano le vicende dei quattro personaggi principali: Ilé Eroriak, ragazzo cresciuto nel porto e considerato il matto del villaggio, Kepa Devar, ricco possidente vedovo fattosi da sé, sua figlia Zazu, ragazza dal temperamento ribelle, selvaggia e indifferente ai mormorii della società benpensante, e Marco, un misterioso forestiero giunto dal mare, che attira l'attenzione dell'annoiata provincia. Marco vede in Ilé una fonte inesauribile di saggezza e tra i due nasce una strana amicizia. Ilé sembra affrontare senza timori quella società che lo rifiuta e lo emargina, costruendosi un proprio magico mondo, dove dialoga con gli elementi primordiali. Ed è proprio questa sua capacità di entrare in contatto con un altro universo che Marco vuol imparare: "Tu sei libero, sei felice. Soltanto chi è come te, chi non desidera nulla, è davvero padrone della sua vita". Tra lo straniero e Zazu si dipana invece una tormentosa storia d'amore, che li vede preda ciascuno del proprio orgoglio e incapaci di capirsi, tra costanti oscillazioni d'umore. Quanto a Kepa, lo vediamo rinchiuso nella propria solitudine, padrone dell'intera Oiquixa, ma con l'assillo di veder sminuito il proprio successo a causa delle umili origini. Il suo rapporto con la figlia è minato dalla scarsa comunicazione. Kepa riesce a esprimere ciò che sente solo nei monologhi con il ritratto della moglie defunta e trasfigurata.

Il romanzo è narrato secondo i diversi punti di vista, alternando discorsi effettivamente pronunciati e pensieri trattenuti. L'amicizia tra Marco e Ilé incuriosisce gli abitanti di Oiquixa, che prendono a interessarsi di Ilé, a cominciare dalle facoltose sorelle Antía, zie di Zazu, fondatrici di un'associazione di beneficenza per orfani, che non si era però mai occupata del ragazzo. Si scatena così una gara per aggiudicarsi l'istruzione di Ilé, sostenuta dallo stesso Marco, il quale fa credere di essere un ricco benefattore convinto della genialità del suo amico-maestro, mentre invece risulterà uno squattrinato per giunta ricercato dalla giustizia.

Il "piccolo teatro" in cui si conducono tali manovre fa da contraltare al teatrino di marionette del vecchio Anderea, unico vero amico di Ilé, che costruisce storie e pupazzi con cui mette in scena ciò che non accade nella realtà. È lui il solo a capire la truffa di Marco a danno di Oiquixa e soprattutto del malcapitato Ilé, illuso di diventare un grand'uomo e avviarsi alla scoperta di orizzonti favolosi. Ilé dovrà rassegnarsi davanti alle menzogne che lo strappano dal suo rifugio fatato, dallo scaffale accanto ai burattini di Anderea dove dorme nei momenti di sconforto. Proprio l'oscillazione tra i due teatri sembra essere la chiave di lettura di tutto il romanzo: alla finzione inscenata nella cittadina, l'autrice contrappone e preferisce lo spazio fantastico creato da Ilé, dove prendono vita sentimenti paradossalmente più autentici.

La trama inanella gli sconvolgimenti interiori e le doppie esistenze di ciascun personaggio, fino al tragico finale in cui Zazu si suicida, incapace di scegliere tra una vita di schiavitù al fianco di un promesso sposo che non ama o quella accanto a un avventuriero amato e odiato al tempo stesso, e che soprattutto è diventato un'ossessione senza scampo: "Lui sarà ovunque poserò gli occhi. Lui è nel mio sogno e nel mio cuore. Non si può fuggire da lui, perché lui è la fuga".

Nonostante l'evidente sapore giovanile, quest'opera stupisce per la profondità nella caratterizzazione dei personaggi, animati da una saggia pulsione a immaginare una via d'uscita per non piegarsi al destino. A sognare il veliero che li porterà lontano dall'angusto teatrino, verso città meravigliose. Così le marionette ridiventano persone colme di agitate passioni, fino alla tragedia. Parlare di suicidio in quegli anni non era cosa da poco, e neppure tratteggiare un'amicizia tra diseguali, che infatti genera il caos nella gretta Oiquixa. Nel romanzo vengono sottilmente inseriti altri elementi "sovversivi", come il rifiuto, da parte di Zazu, delle convenzioni allora vigenti per una donna, al fine di costruirsi un'esistenza propria, una realtà parallela dove può pensare e sentire come meglio crede, anche a costo di diventare costante oggetto di pettegolezzi. O a costo di dover abbandonare la vita, quando si trova a un bivio fatale.

Lo scenario di Oiquixa è quasi leggendario, immerso in una dimensione atemporale, carica di brumosi sortilegi, che smentiscono la semplicità della trama di esistenze consuetudinarie. Il punto di snodo è il matto del villaggio, che crede ciecamente ai differenti destini confezionati per lui, ma allo stesso tempo ne comprende la vacuità e legge con trasparenza le contorte intenzioni delle persone, il cui muoversi paragona ai burattini di Anderea. A sottolineare l'ambiguità dei loro comportamenti, Matute ricorre, come si è già accennato, a due diversi piani: da un lato le intenzioni reali dei protagonisti, espresse solo interiormente, e dall'altro i dialoghi, dove i personaggi assumono i ruoli a loro riservati dalla società, maschere indossate per sopravvivere nella recita giornaliera. Ciò avviene sistematicamente con tutti tranne Ilé, che non nasconde mai il proprio modo di essere. L'autrice sceglierà lui per dare conclusione alla storia. Ilé è il custode dell'innocenza, anche se, al termine del romanzo, quell'innocenza dovrà fare i conti con i sogni frustrati e il passaggio dall'infanzia alla maturità. Rimarrà a Oiquixa, accanto alle marionette, a osservare i mutamenti del destino, gli scossoni dei desideri umani e il logoramento della malinconia: "Però la vita esiste. Io sono sicuro che la vita se ne sta nascosta, da qualche parte. Ad aspettarmi. Sì, io credo che la vita esista".

Il lettore italiano ha l'occasione di scoprire la Matute degli esordi, leggendo un romanzo sulle apparenze - già rivalutato in patria e più volte ripubblicato - che imposta molti degli elementi poi sviluppati in libri straordinari come Prima memoria o Dimenticato Re Gudù. L'autrice opta già qui per un modo di narrare dove l'andamento metaforico, insieme a un tono lirico intimo e allusivo, prevalgono sulla narrazione lineare e oggettiva. Sondando un immaginario fantastico, che attinge alla dimensione del ricordo e dell'inconscio, indaga un'incredibile varietà di linguaggi, da quello dei gesti a quello della natura, che ben s'adattano al tipo di personaggi da lei creati, capaci di comprendere altri codici, altri suoni, altri echi.

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