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Petropolis - Anya Ulinich - copertina
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Descrizione


Siberia, 1992. Sasa Goldberg ha quattordici anni e vive ad Asbestos 2, una città fantasma, sorta fra un gulag e una miniera. Sasa è un'emarginata in un paese emarginato. Mulatta ed ebrea, vive all'ombra di una madre oppressiva e tirannica. Abbandonata dal padre, fuggito negli Stati Uniti, Sasa non ama la danza come invece vorrebbe la madre, che riversa su di lei gli unici sogni che le siano rimasti. La sua passione è il disegno, forse perché disegnare il viso di suo padre è l'unico modo che le è rimasto per ricordarlo. Quando si innamora di Aleksej la sua vita arriva a una svolta. Rimane incinta e partorisce una bambina. Ancora una volta è la madre a decidere del suo futuro: alleverà la piccola come se fosse sua e Sasa dovrà trasferirsi a Mosca, per frequentare una scuola di pittura. La ragazza obbedisce, ma, giunta nella capitale, si ribella e parte alla ricerca del padre. Grazie a un'agenzia di cuori solitari, raggiunge gli Stati Uniti. Qui la aspetta un lungo viaggio che la porterà a scoprire le luci ma soprattutto le ombre del sogno americano. Dagli spazi aridi e sconfinati dell'Arizona alle strade caotiche di New York, Sasa imparerà a distinguere voci sconosciute, scoprirà che dietro la facciata di case immacolate si nascondono pericoli e insidie, incontrerà falsi benefattori, ma conoscerà anche qualcuno che, nella sua diversità, si rivelerà molto simile a lei. Un romanzo di formazione, ironico e commovente, con una protagonista indimenticabile.
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Dettagli

2007
3 maggio 2007
393 p., Rilegato
9788811665885

Valutazioni e recensioni

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Sari
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L'ho letto tutto d'un fiato. Davvero bello.

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Voce della critica

Al di là dei facili entusiasmi suscitati dalla caduta del muro di Berlino e dal crollo dell'impero sovietico, il processo di dissoluzione è lungo e doloroso. Un sistema corazzato come quello dell'ex Unione Sovietica e una società cresciuta con gli pseudovalori del socialismo reale non svaniscono da un giorno all'altro, gli slogan insensati ripetuti per decenni riecheggiano ancora a lungo nelle coscienze e imperterriti continuano a scorrere fiumi di vodka.
Il romanzo Petropolis di Anya Ulinich ne è un'efficace dimostrazione, dal momento che, nella città immaginaria di una Siberia molto realistica in cui è ambientato (dal nome evocativo di Asbestos – cioè Amianto – 2), all'inizio degli anni novanta la vita procede quasi come se nulla fosse accaduto. Tra i palazzoni fatiscenti, una scuola che organizza ancora parate in stile sovietico e mostre di propaganda, un doposcuola per l'avviamento all'arte in cui mancano persino i colori e i fogli, muove i suoi passi verso la vita Saša Goldberg, una ragazzina di quattordici anni il cui padre è partito per l'America senza lasciare tracce e la cui madre difende ostinatamente il loro presunto status di "figli dell'intelligencija" e vagheggia il mito di Pietroburgo (la Petropolis del titolo che allude a una celebre poesia di Osip Mandel'štam).
Nonostante una gravidanza più che precoce, la difficoltà dei rapporti con la madre e la miseria che la circonda, Saša sembra attraversare indenne lo squallore estetico della città in cui vive – e, più in generale, della Russia -, il totale vuoto di valori e l'abbrutimento generale. Ha in sé una sorta di energia e di innocenza primigenia che le consentono di superare le avversità e di crearsi una vita. Ovunque si trovi, viene considerata una "diversa": in Russia, perché "nera" (il padre è il frutto di un amore nato e morto nel corso di un festival giovanile di amicizia tra i popoli) e perché "ebrea" per via del cognome (conseguenza dell'adozione del padre) e, in America, perché russa. Forse è proprio questa sua condizione che la porta a guardare la realtà con un occhio attento e sempre un po' sarcastico; nessuna delle innumerevoli assurdità che connotano la vita nei due paesi le sfugge.
Questo romanzo di formazione sui generis è l'opera prima di una scrittrice trentaquattrenne la cui biografia presenta alcune analogie con quella della sua eroina Saša: l'emigrazione negli Stati Uniti a diciassette anni, la passione per la pittura e un destino che la porta a sentirsi un'outsider.
Anya Ulinich appartiene a una nuova generazione di scrittori russi emigrati che ha fatto la difficile scelta di scrivere nella lingua del paese di adozione pur componendo opere che, per tematiche, personaggi, ambientazioni e sensibilità, sono russe. È la generazione di Gary Steyngart e di Lara Vapnjar, senza scomodare illustri predecessori come Nabokov e Brodskij per la lingua inglese e Nemirovski e Makin per quella francese. Nel caso di Ulinich ci si chiede se, al di là degli ovvi motivi pratici, ci siano ragioni più profonde per questa scelta. Ciò che ne risulta, in ogni caso, è una satira intelligente e una narrazione che, grazie al tono tragicomico, ha il dono di sdrammatizzare. Giulia Gigante

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