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scheda di Vignozzi, A., L'Indice 1993, n. 8
Fra i maestri dell'architettura contemporanea Peter Eisenman è senz'altro quello che con maggior rigore metodologico e maggior enfasi epidittica si è dedicato a una riconsiderazione degli aspetti sintattici del linguaggio compositivo. Il fatto che nel far ciò egli abbia snobisticamente privilegiato l'ambito della 'venustas' a tutto scapito dell''utilitas' e con sostanziale indifferenza alla 'firmitas', se da un lato rende un'idea delle aporie in cui seguita a dibattersi larga parte della riflessione in questo settore, dall'altro fornisce il limite della valenza operativa di una ricerca che, come fa notare Giorgio Ciucci nella sua introduzione (senz'altro la parte più ricca di apporti critici dell'intero volume), non vede alcuna "differenza, se non di scala, fra modello e oggetto costruito". Lo sbocco inevitabile di un approccio siffatto, sviluppato con coerenza adamantina lungo un itinerario di ricerca ormai venticinquennale, sembra essere oggi un formalismo lirico sempre più radicale e gratuitamente paradossale, sempre più provocatoriamente giocato sul filo di un lucido cinismo intellettuale e di una beffarda padronanza semantica. È ancora Giorgio Ciucci a fornire gli strumenti ermeneutici più acconci a collocare tale itinerario in una corretta prospettiva, quando parla di "stringente quanto irrazionale razionalita" e associa "i giochi formali espressi dai segni" architettonici di Eisenman alla sua ossessiva predilezione per i giochi di parole e a una singolare dedizione alle oscure simbologie della cabala ebraica. Oltre a una cospicua messe di elaborati grafici presentati con la consueta eleganza editoriale (nella fattispecie inficiata in più d'una occasione dalla riproduzione speculare degli originali), il volume propone anche una significativa selezione di scritti emblematici di quell'acume concettuale che non può certo mancare a chi sia riuscito a segnare così frequentemente la scena urbana di narcisistiche divagazioni sul tema del 'nonsense' tettonico.
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