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La protagonista si reca ogni giorno nella clinica dove alloggia il fratello, malato terminale di soli ventun anni. Ormai incapace di nutrirsi, il ragazzo sembra svanire, smaterializzarsi poco a poco, nella sua 'perfetta stanza d'ospedale', un luogo surreale, tranquillo e immacolato. Ogni volta che ne esce, la protagonista si trova ammorbata dalle manifestazioni della vita organica, e dalla sua inquietante similitudine con la morte. Questo aspetto si ripropone continuamente nella narrazione attraverso il cibo (masticato, gettato nella spazzatura, lasciato a putrefarsi, o infestato dalle formiche) e giustifica quel mondo di manie perfezioniste che la protagonista si costruisce intorno, riscattandosi da un'infanzia sregolata dovuta ai disturbi mentali della madre. La sua ricerca ossessiva di una dimensione priva di turbamenti e alterazioni si riversa anche nell'attrazione per il dottor S., il medico curante del fratello. Nel secondo racconto, "Quando la farfalla si sbriciolò", il disgregarsi dell'esistenza fisica e mentale si accompagna al germinare di una nuova vita. Nanako vive parallelamente al progredire inesorabile della demenza senile della nonna, Sae, e la scoperta di essere incinta. Costretta a far ricoverare la nonna in un ospizio, i sensi di colpa nei suoi confronti e le esitazioni verso la creatura che porta in grembo divengono divoranti, e covano in un silenzio assillante. Vita e morte, follia e lucidità, si guardano sempre più da vicino, in un quadro in cui le sfumature si infittiscono fino a confondersi. Sono rimasto colpito dalla scrittura di Ogawa, fatta di tratti sicuri e penetranti, co cui riesce a dipingere con rapidità e maestria sentimenti, impressioni e sensazioni. Evidente è l'affinità con la sensibilità di Tanizaki, che risalta nell'accuratezza e nella capacità di sintesi con cui l'autrice restituisce lo sguardo dei personaggi, che cattura i caratteri più significativi e torbidi del mondo circostante.
Il libriccino è composto da due racconti sulla perdita e il distacco. Il primo che dá il titolo al libro è la descrizione minuziosa degli oggetti, delle situazioni, dei sentimenti e dei desideri di una sorella che assiste il giovane fratello negli ultimi giorni di vita. Tutto è reso con grazia e delicatezza attraverso uno stile propriamente “giapponese “. Il secondo racconto parla di una nipote che accompagna la nonna affetta da demenza in una casa di cura. Lo stile qui appare più simbolico, quasi onirico e surreale in alcune parti e la simbologia non è sempre chiara.
1. Bianco e nero 2. Tagliente 3. Doloroso 4. Fine vita 5. Angoscia Non è per niente facile recensire questo libro di Yuko Ogawa. Le immagini che propone si srotolano tra il piacere e la nausea, la loro crudezza è spietata e realistica, si percepiscono gli odori, le consistenze, le emozioni. Vivendo l’esperienza dell’ospedale mi accorgo di essermi trovato di fronte a queste scene e in fondo di aver provato sensazioni simili, fastidi e nausee identiche e di aver mandato giù il groppone cercando di darmi innumerevoli giustificazioni alla malattia, al dolore, alla perdita di un caro, all’angoscia dei parenti che spesso diventano protagonisti rispetto a un malato marginale. La malattia, la decadenza del corpo, la fine della vita sono temi e realtà che la nostra società ha relegato ai margini delle nostre esperienze. Chi entra nella malattia esce dalla vista del mondo e se appare lo fa solo per qualche campagna pro o contro la scienza e l’establishment. Ma vengono escluse tutte quelle domande che purtroppo prima o poi ognuno di noi si ritroverà di fronte ai propri sguardi: perché a me? Perché ora? Che senso ho dato a tutta la mia breve esistenza? Perché non ho fatto quelle cose quando potevo? Leggere una perfetta stanza di ospedale non è un esercizio di masochismo, nè tanto meno un esercizio sadico. È farsi sbattere dolorosamente di fronte agli occhi una realtà ineluttabile, dove i like, i vestiti, le mode e la bellezza perdono di senso, perdono di valore, perdono di interesse. Leggere una perfetta stanza di ospedale ci ricorda cosa siamo, ci ricorda che il tempo si estingue, per chi prima e per chi dopo... Ci ricorda che siamo tutti il Giobbe della Bibbia, che con o senza Dio perde tutto e non può renderne conto a nessuno perché troppo grande è il mistero dell’esistenza. Da 5parolibri...
Recensioni
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Che l'Oriente di Ogawa sia per lo meno sorprendente per il lettore occidentale si capisce già dagli accostamenti del titolo. Il binomio perfezione/stanza d'ospedale suona abbastanza strano e il senso di spiazzamento aumenta quando si scopre che in quella stanza una giovane veglia per mesi il fratello, incurabile, che muore. Nel secondo testo la protagonista porta la nonna, persa in un mondo con cui è impossibile comunicare, in un istituto per anziani. Due racconti brevi, scritti molto bene e che aiutano a penetrare i segreti risvolti di una sensibilità e spiritualità "frequentate", ma in fondo ancora poco comprese. La sorpresa è vedere dolore e lutto vissuti in una dimensione di compostezza che riesce a rendere accettabile, quasi "sereno", l'"innaturale" del morire. Ogawa è del '62, ma in Giappone l'esistenza continua a essere un percorso, e morte e vita metamorfosi, manifestazioni attraverso cui si trasmigra. Percezioni, educate per tradizione a essere raffinate e registrare l'"impercettibile", raccontano nel dettaglio la "storia" di questo "passaggio", che ha ombre ma anche molta luce. Ambienti minimalisti, ascetici, resi perfetti per sottrazione, fanno da cornice al trascorrere delle stagioni, che ritmano e sono simbolo di quello che accade. Nel silenzio è quasi possibile sentire scendere le gocce della flebo, e anche le emozioni vengono distillate, si fanno e rifanno i letti, la pulizia ricorda le abluzioni e i rituali di purificazione scintoisti, insieme alla "sporcizia" si annulla l'"imperfezione". Assolutamente giapponese la concezione del vivere come atto di "resistenza estetica" ed emotiva, esercizio di concentrazione e controllo, cerimonia per ri/portare ordine e bellezza. Il primo atto di questa cerimonia è quello di ritagliarsi lo spazio "perfetto" della stanza d'ospedale e tenerlo ben separato dal "fuori", la realtà "vera", la sua inaccettabilità. Le due protagoniste compiono un percorso "laico" di "illuminazione" che le trasforma e rivela un quotidiano sotteso e diverso.
Laura Fusco
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