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Perché le storie ci aiutano a vivere. La letteratura necessaria - Michele Cometa - copertina
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Perché le storie ci aiutano a vivere. La letteratura necessaria
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Perché le storie ci aiutano a vivere. La letteratura necessaria - Michele Cometa - copertina

Descrizione


Non sappiamo perché e come l'Homo sapiens abbia sviluppato la capacità di costruire storie. Possiamo però ipotizzare come presumibilmente siano andate le cose. Cioè come un ominide abbia sviluppato la facoltà di narrare storie e come queste lo abbiano avvantaggiato tra tutte le specie. Si tratta dunque di studiare la narrazione, la fiction e la letteratura nel contesto della teoria dell'evoluzione e delle scienze cognitive, prendendo le mosse dalle recenti acquisizioni dell'archeologia cognitiva che mettono in relazione la produzione di utensili e lo sviluppo di capacità narrative. Si comprende così che la narrazione ha un ruolo decisivo nella costituzione del Sé e delle sue protesi esterne, come da tempo sostengono i teorici della mente estesa e della cognizione incarnata. Questo studio si inserisce nel quadro più ampio di una teoria biopoetica della narrazione e di un'antropologia filosofica che non trascura il bios rispetto allo spirito. Per questo, categorie fondamentali come la compensazione e l'esonero possono essere rilette in chiave evoluzionistica e fornire alcune spiegazioni del comportamento narrativo dell'Homo sapiens: il riequilibrio dei suoi deficit funzionali ed esistenziali e il contenimento dell'ansia.
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Dettagli

2017
16 marzo 2017
427 p., Brossura
9788860309006

Valutazioni e recensioni

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Cri1975
Recensioni: 4/5

leggero come saggio, pieno di spunti. da regalare a lettori forti però.

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Ramona
Recensioni: 5/5

“La letteratura necessaria”, sottotitolo di questo saggio, esplica totalmente il suo fine ultimo: dimostrare come la letteratura aiuti l’uomo a vivere. Per avvalorare questa tesi, Michele Cometa parte da lontano, dai primi utensili che l’uomo ha creato come estensione della propria mente. Strumenti utili e necessari alla sopravvivenza e allo svolgimento delle prime attività per il sostentamento, ma con un valore simbolico molto più grande. L’archeologia cognitiva si occupa di ciò, di ricercare il pensiero e il simbolismo che c’è negli oggetti; di comprendere i meccanismi e le architetture della mente. Addentrandosi in questo scenario e citando alcuni grandi dell’archeologia come per esempio Colin Renfrew, questo saggio ci pone di fronte all’esistenza di un linguaggio, ancora prima della nascita del linguaggio stesso. Linguaggio dei gesti, linguaggio degli oggetti. La necessità di ottenerlo e, per noi, di comprenderlo. Uno dei libri più belli letti quest'anno.

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SILVIO UBERTI
Recensioni: 1/5

Ho acquistato questo libro perché il tema è assai suggestivo, ma sin dalle prime pagine ho dovuto arginare a fatica la propensione dell'autore ad esprimersi in modo criptico, oltretutto aggravato dall'adozione di un vocabolario fuori dalla portata degli umani. Vi trovo la ricerca appassionata della parola più difficile, che mi costringe al dizionario a ogni piè sospinto, e non è che il mio sia del tutto sguarnito. Tanto appassionata questa ricerca dell'autore, quanto poco interessato - evidentemente - a che la sua teoria possa diffondersi. Ed è un peccato, perché alcuni passaggi sono decisamente interessanti. Tuttavia trovo sgradevole questa modalità, che mi sa tanto di esibizione. Un po' come Albertone: "Io so' io. E voi non siete un c."

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Voce della critica

(...) Questo libro apre strade innovative alla riflessione sulla letteratura e sul testo, attraverso un dibattito amplissimo nella cultura nordamericana ed europea: testimoniato, nel volume, da una sterminata bibliografia, utilissima per definire le forze in campo, movimenti, gruppi, genealogie. È in gioco l’interpretazione di quel gesto primario che è il narrare (...).

“La letteratura, la narrazione e la fiction sono necessarie perché sono utili, hanno una finalità, una funzione per il bios” (...). È in questa prospettiva che si può riscrivere la vicenda della “nascita” della narrazione come modello di organizzazione dell’esperienza: da lì deriva un modo di ridisegnare il sé, come esito di questo riassetto. Un sé “dialogico” (ricordando Bachtin), che si “distribuisce” su “una serie di supporti come il corpo, le cose e gli altri”, che trova la sua voce più propria nella modalità del sé narrativo (...). Le forme retoriche del sé (...) possono essere riconosciute negli utensili litici che i primitivi si foggiavano per gestire la propria esistenza nel quotidiano.

Il percorso disegnato da Cometa attraversa gli snodi fondamentali sul tema (...). Se “la narrativa è il racconto di progetti umani, di attese andate a monte, essa ci offre il modo di addomesticare l’errore e la sorpresa”, rimediare allo squilibrio che sempre mette in moto la narrazione tesa perciò al ripristino dell’equilibrio e dell’ordine (...).

L’universo di cui scrive Cometa trova nell’ultimo capitolo, Antropologia dell’ansia – forse il più emozionante, punto di arrivo (in qualche modo narrativo) del percorso teorico proposto – la sua chiave propositiva ed interpretativa: è il perché la letteratura è necessaria. “La narrazione (e la letteratura) ci aiuta a selezionare routine cognitive che sospendono il peso dell’assoluto, sia che esso si presenti nella forma della realtà fattuale (...) sia che esso derivi (...) dal continuo stress psichico” dell’“adattamento a un mondo complesso e minaccioso”. Per questo le storie ci aiutano a vivere, per questo siamo loro debitori di una compensazione che ci può salvare.

Recensione di Giorgio Patrizi

 

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