Chiudi

Aggiungi l'articolo in

Chiudi
Aggiunto

L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri

Chiudi

Crea nuova lista

Perché l'Italia diventi un paese civile. Palermo 1956: il processo a Danilo Dolci - copertina
Perché l'Italia diventi un paese civile. Palermo 1956: il processo a Danilo Dolci - copertina
Dati e Statistiche
Wishlist Salvato in 7 liste dei desideri
Perché l'Italia diventi un paese civile. Palermo 1956: il processo a Danilo Dolci
Disponibilità immediata
14,96 €
-15% 17,60 €
14,96 € 17,60 € -15%
Disp. immediata
Chiudi
Altri venditori
Prezzo e spese di spedizione
Cartarum
14,96 € + 4,90 € Spedizione
disponibilità immediata disponibilità immediata
Info
Usato Usato - In buone condizioni
Altri venditori
Prezzo e spese di spedizione
Altri venditori
Prezzo e spese di spedizione
Cartarum
14,96 € + 4,90 € Spedizione
disponibilità immediata disponibilità immediata
Info
Usato Usato - In buone condizioni
Chiudi

Tutti i formati ed edizioni

Chiudi
Perché l'Italia diventi un paese civile. Palermo 1956: il processo a Danilo Dolci - copertina

Descrizione


Nel 1956 Danilo Dolci organizza "il digiuno dei mille" sulla spiaggia di San Cataldo (Trappeto) con contadini e pescatori per lottare contro la pesca fuorilegge ma anche per preparare lo sciopero alla rovescia di Partinico in cui mobilitare un centinaio di disoccupati per riattivare una trazzera intransitabile. Il testo ricostruisce gli scioperi, il processo e gli schieramenti che nacquero intorno ad esso, mettendo assieme diversi materiali in modo da restituire la scansione frenetica della storia. Aprono e chiudono il volume due racconti di Dolci sulla vita di due giovani siciliani: il primo alle prese con la ricerca del lavoro, il secondo finito in galera.
Leggi di più Leggi di meno

Dettagli

2006
153 p., ill. , Brossura
9788883251856

Voce della critica

Una “trazzera”. Esclusi siciliani e calabresi nessuno sapeva che cosa fosse. Ma poi d'un tratto questa parola riempì le cronache dei giornali. Accadeva cinquant'anni fa e della trazzera si parlava in un'aula del tribunale di Palermo. Era la fine di marzo anno 1956. Si stava svolgendo un processo destinato a far storia. Imputato Danilo Dolci insieme ad altri sei suoi collaboratori e amici. I capi d'imputazione erano tre: resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale; istigazione a disobbedire alle leggi; invasione di terreni. Accuse per le quali erano stati arrestati la mattina del 2 febbraio durante lo “sciopero a rovescio”: uno sciopero cioè in cui si lavorava. All'iniziativa di Dolci parteciparono un migliaio di persone fra disoccupati contadini e pescatori di Trappeto e Partinico in quell'angolo di Sicilia fra i più depressi d'Italia. Qui mancava tutto: acqua corrente lavoro educazione. Le uniche presenze la mafia e il banditismo: siamo a pochi chilometri da Monte Lepre all'interno del golfo di Castellamare in quei posti nei quali operano fino a qualche anno prima Salvatore Giuliano e il banditismo separatista contro il movimento contadino di occupazione delle terre.

Quella mattina si ritrovarono muniti di vanghe e picconi a sistemare appunto la trazzera: poco più di un sentiero di campagna che collegava Partinico al mare completamente ricoperta di fango e inutilizzabile. Scopo di Dolci e dei suoi era quello di richiamare l'attenzione su questa terra dimenticata e dimostrare che anche qui potevano esserci possibilità di lavoro. Alla violenza e alle armi in quella terra di inedia l'unica arma che Dolci propone è il lavoro. E visto che qui lavoro non viene offerto sono allora gli stessi lavoratori a organizzarsi autonomamente. La manifestazione era stata accuratamente preparata: l'intellettualità italiana e tutta la stampa erano stati informati. Così come le forze di polizia e carabinieri. Che quella mattina sin dall'alba aspettavano i dimostranti. Alle prime picconate gli agenti intimarono di smettere. Finì con gli arresti ma senza alcuna violenza.

Al processo poi successe di tutto. Fu quello che oggi chiameremmo un processo mediatico – forse uno dei primi del nostro paese. Accese i riflettori e in qualche modo rese celebre l'uomo che aveva guidato la rivolta e che stava dando vita a un'avventura politica e umana straordinaria in quest'angolo dimenticato della Sicilia. Si scomodarono in molti. A testimoniare la passione civile e l'impegno di Dolci sfilarono personaggi eccellenti: da Elio Vittorini a Norberto Bobbio Carlo Levi e Lucio Lombardo Radice Vittorio Gorresio e Valerio Volpini Alberto Carocci Maria Fermi Sacchetti (sorella del celebre fisico) e Gigliola Venturi. Anche la difesa era illustre: un giovanissimo Nino Sorgi insieme ad Achille Battaglia e Piero Calamandrei. A fronte di tanto clamore e di arringhe che demolirono le accuse la corte decise una modesta condanna per invasione di terreni (fra l'altro già scontata in attesa del processo) e lasciò cadere gli altri capi d'imputazione.

L'intervento di Dolci le testimonianze e le arringhe diventarono subito un libro che Einaudi pubblicò nello stesso anno con il titolo Processo all'art. 4. Ora a distanza di cinquant'anni viene riproposto (in una versione ridotta ma arricchito di altri documenti) con la presentazione di Goffredo Fofi che allora giovanissimo prese parte alle iniziative di Dolci e alla giornata di lotta della trazzera – ricavandone un paio di notti in cella e un foglio di via. Il libro sembra rispondere a quanto Calamandrei dice alla corte nella sua arringa finale: “Bisogna cercare di immaginare come questa vicenda apparirà di qui a cinquanta o a cento anni”. Come giustamente sottolinea Fofi riproporre oggi tale esperienza significa invitare a pensare modi di azione concreta nonviolenta in una realtà italiana ancora “scomposta”.

Ma non solo. C'è forse qualcosa in più nell'avventura di Danilo Dolci che possiamo oggi rivalutare. Era un personaggio fantasioso pieno di idee e risorse con un carattere non sempre facile spesso irruente e autoritario. Per molti una presenza ingombrante. Ma sapeva immaginare la realtà. E per farlo aveva bisogno di essere utopista. Non per questo non otteneva risultati: con la diga sullo Jato portò l'utopia a centosettantamila persone: l'acqua o meglio quella che lui chiamava l'”acqua democratica”. Oggi il pensiero sembra aver rinunciato a pensare la realtà così complessa e di fronte alle difficoltà regna l'appiattimento.

Quanto al libro e al processo per lo sciopero a rovescio ecco cosa dice Dolci di fronte alla corte: “Abbiamo sempre affermato che per salvarsi bisogna lavorare come dice anche l'articolo 4 della Costituzione italiana il quale afferma che il lavoro è un dovere oltre che un diritto. Noi siamo convinti che la Costituzione è una cosa seria. (…) Lo hanno detto tutti i morti della Resistenza che sono morti per la Costituzione. La Costituzione in Italia è la sola legge della quale non ci dobbiamo vergognare”. Parole sante: di quella costituzione prima che la cambino proprio non c'è da vergognarsi.


Marco Filoni

 


Leggi di più Leggi di meno
Chiudi
Aggiunto

L'articolo è stato aggiunto al carrello

Chiudi

Aggiungi l'articolo in

Chiudi
Aggiunto

L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri

Chiudi

Crea nuova lista

Chiudi

Chiudi

Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.

Chiudi

Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore