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Anno edizione: 2016
Anno edizione: 2013
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Credo che Cristina Bove, principalmente poetessa, nel passare alla narrativa abbia fatto una scelta giusta, non scrivendo un romanzo, ma quella che può essere definita un'autobiografia fra il passato e l'oggi, quest'ultimo destinato per lo più a riflessioni di carattere generale. Il continuo ripescare fatti ed episodi della propria esistenza, come il ritornare all'oggi, se all'inizio disorienta un po', alla fine si apprezza perché in questo modo si evitano quelle esposizioni cronologicamente successive che tendono inevitabilmente a tediare il lettore. Certo, a leggere queste pagine, mi accorgo che la mia vita è stata tutto sommato lineare, e non certo discontinua, quasi avventurosa come quella di Cristina Bove, che volentieri si confessa, raccontando certi fatti che altri magari preferirebbero tacere, ma che a ragion veduta sono stati determinanti nell'iter vitale, come un certo volo da un quarto piano, risoltosi miracolosamente con serie fratture, poi sanate. E poi il collegio con le camerate fredde, l'impossibilità, per difficoltà economiche, di realizzarsi scolasticamente sono tutte cose che lasciano inevitabili strascichi; da, qui, forse un remoto rigurgito di insoddisfazione che né un matrimonio, né la nascita dei figli sono riusciti a sanare. Solo l'arte, la passione di leggere, di scrivere, di dipingere, insomma di concretizzare in forme plastiche o comunque accessibili quella inconscia rabbia che si porta dentro, hanno potuto generare un'oasi di appagamento, tanto che mi viene da dire che senza la scrittura non avremmo Cristina Bove, cioè senza di essa si sarebbe lasciata andare aggravando gli acciacchi, sì che è lecito pensare che lo scrivere sia per lei come il respirare, una condizione unica e indispensabile per continuare a vivere. Ecco, fra penne e pennini, fra carta e inchiostro, rivoltato il suo passato, Cristina Bove, senza ipotecare un avvenire, lascia un segno nel presente, ripercorrendo il suo passato. Da leggere, mi sembra più che chiaro.
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