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Questa raccolta di precetti, di brevi e talora pungenti indicazioni rivolte agli artisti venne pubblicata a Milano, la prima volta, nel 1910, proprio nella città e nell'anno in cui il futurismo pittorico fece esplodere i suoi primi rumorosi vagiti, dichiarando guerra al passato, al museo e all'accademia. Tuttavia soltanto quest'ultimo aspetto l'opposizione alle tradizionali forme d'insegnamento può essere sensatamente proiettato in mezzo alle pagine di Bernasconi. Per il resto, infatti, le massime del pittore e critico canturino restano ben lontane dall'ardore marinettiano e dalle ferme posizioni di Boccioni, Carrà e degli altri loro sodali. A Bernasconi, al suo distacco dalle istanze realiste e dalla pittura en plein air, caso mai si attaglia maggiormente l'esperienza di Novecento ("L'antico serve a farti trovare il nuovo senza lasciarti dare nello strambo"): non è un caso, forse, che la seconda, più ampia edizione dei Pensieri sia stata pubblicata nel 1924, anno importante per il movimento capitanato da Margherita Sarfatti. Questi e altri aspetti sono chiaramente enucleati nella recente edizione critica dei Pensieri ai pittori, che si giova di una puntuale introduzione di Margherita D'Ayala Valva, studiosa che a Bernasconi ha dedicato importanti ricerche, curandone, fra l'altro, la pubblicazione digitale dell'epistolario (consultabile al sito www.artivisive.sns.it/carteggio_bernasconi.html). È proprio attraverso le numerose lettere inviate a Bernasconi che si può constatare come gli aforismi del canturino fossero tenuti in gran considerazione da molti importanti artisti italiani della prima metà del secolo, divenendo per alcuni di loro una fondamentale fonte di ispirazione: "Non vogliamo sapere del valore pittorico di una pittura, o del valore musicale di una musica. Ma vogliamo sapere del valore umano in tutte le opere dell'uomo".
Mattia Patti
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