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recensione di Paternoster, A., L'Indice 1998, n. 8
Che cosa sono le immagini mentali, quando e perché le "creiamo", quali rapporti esse intrattengono con altre facoltà mentali, e in particolare con la percezione, sono alcune delle domande a cui si risponde in questo lavoro. Tali questioni hanno certamente motivi di interesse loro propri; Ferretti le discute tuttavia principalmente nella prospettiva di difendere una ben precisa posizione filosofica sulla natura della mente. Tale posizione si articola in due tesi fondamentali. In accordo alla prima, che possiamo denominare "realismo intenzionale rappresentazionale", gli stati mentali come le credenze, i desideri, le intenzioni, sono stati rappresentazionali. La seconda tesi, la cui difesa è il motivo conduttore del libro, asserisce che il formato delle rappresentazioni mentali è di (almeno) due tipi: accanto al formato linguistico-proposizionale riconosciuto dalla maggioranza degli studiosi si deve riconoscere l'esistenza di un formato analogico, caratteristico delle immagini mentali. Questa posizione è nota come "teoria del doppio codice". La questione più spinosa connessa alla seconda tesi risiede nel far convivere la dimensione simbolico-rappresentazionale delle immagini con il loro carattere analogico. L'analogicità, fondamentale per giustificare la supposta non-arbitrarietà delle immagini, il loro essere dei "segni naturali", è infatti classicamente considerata un criterio troppo debole per fondare il nesso tra immagine e oggetto rappresentato. Come è lecito attendersi da un dibattito molto vivo e aperto quale è quello sulla natura delle immagini mentali, gli argomenti di Ferretti non sono completamente persuasivi, ma cionondimeno la ricchezza dei dati sperimentali citati e la chiarezza espositiva consentiranno al lettore di farsi una propria idea. Relativamente alla prima tesi, è da segnalare la critica rivolta a Dennett, la cui posizione collassa secondo l'autore sul comportamentismo logico di Ryle e Wittgenstein.
Le immagini mentali sono al centro di un serrato dibattito nelle scienze cognitive, in particolare per quel che riguarda il problema dei codici e delle forme della rappresentazione. La concezione prevalente in questo dibattito è quella del codice simbolico unico: la proposizione come "forma generale" della rappresentazione mentale. Contro questa concezione, che riposa sul primato attribuito ai processi alti di pensiero (linguaggio e ragionamento), il presente lavoro avanza l'ipotesi della peculiarità simbolica delle immagini menatali e della loro irriducibilità alle proposizioni. Sulla base di argomenti teorici, ma anche di prove sperimentali tratte dalla neuropsicologia, vengono così sottolineate e messe in evidenza le proprietà spaziali delle immagini, nonché la loro natura eminentemente visiva. Il risultato teoricamente più rilevante è il riconoscimento della somiglianza che lega le immagini mentali alle percezioni piuttosto che ai processi alti di pensiero. A partire da tale risultato, il volume si situa così all'interno di quel generale intento di naturalizzazione del pensiero che anima alcune delle istanze più proficue della odierna riflessione sulla mente, aiutando a rimettere in discussione quella tesi della identità di pensiero e linguaggio che più di ogni altra aveva contribuito all'affermarsi di un'idea artificialista della mente.
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