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All'ombra dell’intercultura son cresciute erbacce e piante parassite. Questo non recente manuale fa eccezione. L’autrice abbandona le retoriche consuete per affrontare la sostanza dei problemi, dotata di una preparazione teorica rara, una competenza civile conscia della complessità del tema, una dose di buon senso che non ripiega mai nell'accettazione del brutto esistente. La composizione variegata della società, piuttosto che come un sistema di vincoli, va vista in termini di opportunità formativa per gli studenti. Ciò comporta una messa in questione radicale delle pratiche educative: si tratta di scegliere tra un sistema educativo grazie al quale lo stato controlla la diversità e tenta di imporre omegeneità di modelli culturali, e una pratica pedagogica che affronti la questione della diversità sociale. Svolte e innovazioni nella pratica educativa avvengono "in relazione a cambiamenti e trasformazioni dei contesti politici e sociali". Ecco perché il fenomeno degli attuali flussi migratori costituisce un'occasione per rimettere in moto la riflessione e la pratica educativa. Non si tratterà di tentare di compensare svantaggi culturali (pronti perciò a costruirsi alibi per fallimenti nei percorsi scolastici), quanto di muovere dalla domanda di diritti, che dai migranti proviene, e collocarvi un progetto educativo che abbia "l'obiettivo di prefigurare una società futura dove sia possibile vivere i molteplici aspetti della diversità in maniera legittima, non antagonistica e non gerarchica". Il che mette in gioco canoni, modelli, abitudini, ruoli, rituali, tessuti di regole implicite. Lo sguardo antropologico, invece di bearsi in una consolatoria immagine dell'altro, si sposta sul noi, e contribuisce alla lettura della complessità sociale odierna. Diventa sempre più chiaro come gli insuccessi scolastici non debbano essere riferiti a situazioni di "deprivazione socio-culturale", quanto a discontinuità culturali e al differenziale di potere di attori sociali.
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