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Pavana per una principessa defunta - Park Min-gyu - copertina
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Pavana per una principessa defunta - Park Min-gyu - copertina

Descrizione


Il protagonista di questo romanzo, segnato dalla separazione dei genitori (il padre, un bellissimo uomo diventato star del cinema, ha abbandonato lui e la madre, una donna dall'aspetto insignificante), conduce un'esistenza inconcludente. Trova lavoro nel parcheggio di un grande magazzino, dove conosce una ragazza molto brutta e stringe amicizia con un collega più grande di lui che ama molto filosofeggiare e bere birra. Siamo a metà degli anni Ottanta a Seul, un periodo di boom economico. Il protagonista, che ha ereditato la bellezza dal padre, si avvicina alla ragazza, e lentamente nasce un rapporto sempre più profondo e delicato. Con la complicità del collega, si crea un terzetto che trascorre insieme la maggior parte del tempo libero, in un viaggio di conoscenza reciproca e di amicizia bruscamente interrotto dal tentato suicidio dell'amico e dall'improvvisa partenza della ragazza. La ritroverà dopo molte ricerche: la storia sembra destinata al lieto fine, ma un tragico incidente spezzerà questo sogno, che però riprenderà qualche anno dopo, sotto altre forme, in un gioco di prospettive e punti di vista discordanti dove niente sarà più come sembrava un tempo. Con uno stile caratterizzato da continui rimandi tra il presente e il passato e frasi spezzate come la memoria dell'io narrante, Park Min-gyu affronta con sguardo ironico e incisivo la frenesia della società contemporanea e i suoi miti di progresso.
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Dettagli

2017
16 marzo 2017
324 p., Brossura
9788896317709

Voce della critica

Primo testo di Park Min-gyu (Ulsan, 1968) a vedere la luce nella nostra lingua e tra i pochissimi della letteratura coreana tradotti in italiano, questo romanzo, oltre al titolo tratto dalla celebre composizione di Ravel […] pullula di riferimenti musicali occidentali, da Bob Dylan ai Beatles a Britney Spears, i cui testi ritornano con insistenza caricandosi di una forza quasi incantatrice: sono istruzioni per l’uso per lo strano macchinario da poco precipitato dal cielo che è la modernità e sono anche l’accompagnamento alla storia d’amore tra due ventenni nella fumosa e confusa Corea della metà degli anni ottanta. I protagonisti senza nome rifiutano la convenzionalità in cui sembrano destinati ad annegare i loro contemporanei che accettano la corsa alla ricchezza. Incontrata ai grandi magazzini dove entrambi lavorano come parcheggiatori, la ragazza al centro della storia è, per ammissione del narratore stesso, “la donna più brutta del mondo”. La loro platonica relazione è fatta d’imbarazzo […] per poi sfociare in un addio. I due si muovono in un tempo che dopo averli sfiorati s’avvolge, spira dopo spira, in una molla di nostalgia, come se fosse tutto già passato alla storia, già classico. Un regalo ricevuto da lei l’ultima sera insieme, il sapore del caffè, la neve, il cielo stellato, e la consapevolezza […] che quello che è stato non tornerà più. La quotidianità è sopraffatta dalla noia e dall’inconcludenza, e Park non esita a dispensarcene tozzi nudi e crudi […], soprattutto attraverso Yohan, amico e collega di lavoro di entrambi i protagonisti. I tre trascorrono la maggior parte delle loro serate in un locale che serve birra e pollo fritto e insieme filosofeggiano a ruota libera sulla vita, sul mondo e sull’amore, per i quali la penna di Park non risparmia le più strambe allegorie, birra dopo birra, canzone dopo canzone. Le loro chiacchierate cercano di dare un senso […] allo squilibrio tra i brevi sparuti attimi di bellezza e il disarmante spleen del quotidiano. Eppure la risposta dei personaggi di Park di fronte a questo stato di cose è molto lontana da un semplice nichilismo. Loro vivono il lato oscuro del mondo in un assorto stato di ingenua curiosità, come se ogni possibile alternativa non fosse nemmeno degna di considerazione. […] Lo sforzo sincero di sfoggiare una modernità con la quale, si sa, serve l’inglese per interagire, e il patetico, quasi compassionevole, fallimento nel padroneggiarne l’uso. Se dovessimo disegnare un volto alla scrittura di Park, è qui che giacciono le coordinate dei suoi lineamenti […]. Spesso caratterizzate da uno stile provocatorio e da contenuti ai limiti dell’assurdo, le opere di Park Mingyu sono state insignite in patria di numerosi premi letterari.

Recensione di Stefano Boggia

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[…] Ventuno lettere compongono questo libro, alcune prive di destinatario e talora persino di un chiaro mittente, incorniciate da una sorta di prologo ed epilogo. Il romanzo epistolare apre squarci di dolore bruciante attraverso una scrittura intensa, tesa a colmare il vuoto lasciato da un’amante andata via. Diventa poi, a tratti, diario, un archivio personale di ricordi, poesie, appunti e citazioni buttati giù a Parigi tra aprile e giugno 1995 […]. Qualcuna delle lettere fa riferimento a un romanzo cui la narratrice sta lavorando e mette a fuoco un’idea di letteratura incentrata sulla mancanza e sul fallimento dell’atto comunicativo di raggiungere l’amata. Ma quello che maggiormente colpisce è la precisione con cui l’autrice disseziona le spoglie consunte di una relazione e la crudele persistenza del sentimento amoroso, nonché la rivelazione di come sia l’amore stesso a diventare insostenibile e a soccombere, schiacciato da se stesso. L’amore, si sa, può rendere insensibili nei confronti dell’oggetto amoroso. Nonostante Xu abbia tradito, l’autrice di queste lettere vorrebbe ancora darle “un baricentro”. Agli occhi dell’amante che scrive, l’amata lontana ha bisogno di lei, solo che non lo sa. […] Il dolore della perdita genera cecità nei confronti dell’altro: la presunzione di conoscere i bisogni e i sentimenti dell’amata porta alla violenza contro di lei e infine contro se stessi, nel momento in cui quella presunzione si rivela infondata. È l’acuta consapevolezza delle conseguenze dell’amore ferito ciò che più attrae in questo libro: l’analisi impietosa del dirompente bisogno d’amore che riduce Zoë, la narratrice-narratore dalla sessualità fluida, che a volte si definisce col pronome femminile e altre maschile, a una furia distruttrice e autodistruttrice. Dopo che la sua angoscia e il senso d’inadeguatezza hanno fagocitato la devozione dell’amata, Zoë tenta di rimediare ai danni: chiarisce le sue responsabilità, promette di cambiare, implora e minaccia, ma si scopre incapace di rinunciare al desiderio di essere “tutt’uno. Altri amori ci sono, ma sono tutti imperfetti: Yong, che si prende cura di lei durante un viaggio; Qingjin, cui spera di potersi dare dopo essersi “reincarnata” in una nuova Zoë; e Laurence, volontaria del centro Lgbt di Parigi, di cui talvolta assume il punto di vista e la voce e con cui condivide momenti di passione. La vicinanza di tante compagne non la salva da un crescente senso di solitudine, interrotta solo di tanto in tanto da un’effimera euforia. Il cinema, i libri e la scultura offrono temporaneo rifugio, ma non tanto da tener lontano il pensiero del suicidio, presentato come una decisione razionale, espressione estrema di amore per la vita […]. La scrittura di Qiu Miaojin, autrice taiwanese morta suicida a ventisei anni, a Parigi, il 25 giugno 1995, è inquietante, diretta, spudorata. La splendida traduzione rende appieno il ritmo febbricitante di un monologo interiore che procede per contraddizioni e paradossi cui la destinataria di queste missive sembra reagire solo con un enigmatico silenzio.

Recensione di Paola Iovene.

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