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Patrie smarrite. Racconto di un italiano
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Patrie smarrite. Racconto di un italiano - Corrado Stajano - copertina
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Patrie smarrite. Racconto di un italiano

Descrizione


Nel ricordo e nella fatica del ritorno alle origini familiari si scoprono frammenti di storia collettiva, bagliori di un passato irrisolto che affiorano nel presente. In "Patrie smarrite" Corrado Stajano scrive una memoria, una narrazione civile sul grande enigma che è il carattere italiano. A Noto, dove tenta di vendere gli antichi terreni della famiglia - «stoppie, ulivi, mandorli e grotte dell'età del bronzo» -, e poi nei luoghi della giovinezza, fra le brume e le anse placide del Po, a Cremona, dove si reca per svuotare la vecchia casa materna, Stajano racconta architetture, paesaggi, vicende storiche, mentalità e personaggi eterogenei, tutti fatalmente italiani. E indagando la propria doppia radice - siciliana e lombarda - indaga il nostro tragico Novecento, il divario e l'incomunicabilità tra Nord e Sud, un'Italia troppo spesso incline al compromesso, smemorata e autoassolutoria. Tra le spiagge rossastre, gli odori di gelsomino e ricotta, il tufo, i profili cadenti delle architetture barocche, nel Val di Noto Stajano ritrova ricordi personali, carte d'archivio, testimonianze dirette, memoriali inediti, che ricostruiscono lo sbarco anglo-americano sulle coste siciliane, nel luglio 1943: un episodio cruciale e per molti aspetti relegato all'oblio, che rivela eroismi e viltà grandi e piccole, collusioni e silenzi. A Cremona lo sguardo curioso e severo di Stajano si sofferma sulla resistibile ascesa e caduta del ras Farinacci: com'è possibile che una popolazione di antica cultura e tradizioni democratiche abbia favorito con divisioni, omertà e malizie l'imporsi del fascismo più nero? Oggi la città, sonnolenta, rifiuta ogni domanda, sembra infastidita dalla memoria, si rifugia nel particulare, emblema di un paese in cui ancora prevalgono gli egoismi, mai del tutto immunizzato dal germe fascista. In quella che Paolo Di Stefano, nella postfazione al volume, ha definito «l'autobiografia di una nazione», la fantasia esasperata e irrazionale di una Sicilia «amata e ripudiata», la pacatezza, l'ordine e la concretezza della Bassa Padana divengono le due facce, apparentemente inconciliabili, della stessa medaglia: patrie smarrite come smarrito appare l'ideale di un'Italia civile, a lungo vagheggiata e mai raggiunta.
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Dettagli

2018
18 gennaio 2018
232 p., Brossura
9788842824251

Valutazioni e recensioni

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n.d.
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Un libro che tratta momenti passati con un incredibile coinvolgimento ; consiglio da leggere.

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Voce della critica

“Accade anche che un uomo possa sentire con angoscia e con violenza di appartenere a una mezza patria che uccide e che, proprio per la forza del male, capisca di essere come una zolla inestirpabile, attratto da un forzoso fatale legame, non per la catena dei beni e dei saperi trasmessi dalla vita, ma proprio per ciò che di più malefico esiste in quella terra ripudiata, ma amata.”

La divisione in due parti di Patrie smarrite indica, neppure tanto simbolicamente, la frattura dell’autore tra le due parti di sé, la doppia radice, la duplicità di culture che nella sua persona si giustappongono, senza mai fondersi. Seguiamo lo schema dell’opera: per prima è la Sicilia e Noto, le radici paterne, a essere protagoniste.
“Arrivavo all’inizio dell’estate appena finite le scuole. E ogni volta restavo come annichilito da quel che vedevo e sentivo.” Colori, suoni, luce: tutto qui è eccesso, non ci sono sfumature né nelle grida mattutine arabeggianti, nei “suoni delle parole” duri, scabrosi, né nella spietatezza del sole (“Tutto era bruciato, rosso, color della cenere, della sabbia, dell’argilla”), o nel profumo intenso che si diffonde nell’aria, nei sapori di cannella e chiodi di garofano.
dalle emozioni personali, dall’incombere dei ricordi e dal turbamento di ritrovare pezzi smembrati dell’infanzia, prende avvio un lungo excursus storico: “Mentre vado alla ricerca delle storie di quella vecchia guerra mi domando se non è un’idea insensata, la mia. Se non è soltanto un pretesto letterario per appiccicare ai fatti del ’43 le vicende del passato e di questo presente, la ragione del sentirmi diviso tra il padre e la madre, tra quella patria dove sono nato, ugualmente attratto e respinto, con la sensazione, ogni volta, in un posto o nell’altro, di essere arrivato a casa, dopo un tormentato viaggio e la subitanea voglia di fuggire. Alla scoperta di altri luoghi, di altre radici.” Ma al lettore quel viaggio nel passato non appare di certo pretestuoso e anzi, ben più che un saggio storico, sa ricostruire atmosfere e tensioni di quel brandello di guerra, tragico ed epico, che ha in Sicilia il suo ben poco clamoroso (anche se sostanziale) epilogo.
Poi via via dalla guerra al dopoguerra, a quel travaglio che la Sicilia ha vissuto tra tensioni indipendentiste e mafia rigenerata dal sostegno americano, al banditismo (braccio armato della corruzione politica e della criminalità organizzata), fino al passato più recente e all’oggi, alla natura stessa dei siciliani ai loro vizi antichi e alle bellezze troppo a lungo abbandonate di case e monumenti.“

Con brusco scarto si passa alla seconda parte del libro, quella padana. Toni soffusi, dolcezza e torpore: queste le atmosfere che subito circondano il lettore. La grande casa di famiglia che l’autore, morti i genitori, decide di vuotare diventa la fonte, in ogni suo angolo, di ricordi e sensazioni antiche: “mi sento continuamente vittima delle imboscate della memoria” dichiara e, anche se “il tempo seleziona i ricordi”, ugualmente luoghi e oggetti rimandano a visi amati o noti e a fantasie lontane. “Per chi ci è nato il grande fiume può sembrare anche il paesaggio universale, un Oceano dell’immaginazione”, ma il fiume, nel suo tranquillo scorrere, ha anche assistito alla fascistizzazione di quella ricca provincia e alla conquista del potere di un suo illustre figlio: Farinacci. Attraverso la figura di questo protagonista del Ventennio, l’autore dà inizio all’altro approfondimento storico del libro, quello dedicato al periodo fascista. Ascesa, gloria, caduta di un uomo e di una dittatura: i contemporanei preferiscono non ricordare, i cremonesi si trincerano dietro ad amnesie collettive (l’unica testimone che parla di quegli anni e di quei giorni è Carla, a cui Stajano dedica alcune frasi cariche di simpatia).
La vena civile dell’autore si anima parlando dell’oggi e dei pericoli per la democrazia e la metà siciliana gli indica tutta la diversità tra sé e quella nuova mentalità padana, privatistica e miope.
La “lacerazione congenita” che queste patrie smarrite hanno provocato nel suo animo in realtà, a chi scrive, appare una ricchezza straordinaria, così come ricchezza è il duplicarsi di culture, il giustapporsi di civiltà.

A cura di Wuz.it

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Conosci l'autore

Corrado Stajano

1930, Cremona

Ha scritto su importanti quotidiani e settimanali, ha firmato per la Rai documentari televisivi di argomento politico e culturale. Ha pubblicato, da Einaudi, Il sovversivo (1975), La pratica della libertà (1976), Africo (1979), L'Italia nichilista (1982-1992), Un eroe borghese (1991) da cui è stato tratto il film omonimo, Il disordine (1993). Con Garzanti ha pubblicato Promemoria (1997, Premio Viareggio), Ameni inganni (con Gherardo Colombo, 2000), Patrie smarrite (2001), I cavalli di Caligola (2005), Maestri e Infedeli (2008). Ha inoltre curato il volume che raccoglie gli atti d'accusa del maxiprocesso di Palermo, Mafia (Editori Riuniti, 1986) e La cultura italiana del Novecento (Laterza, 1996).Fonte immagine: Maremosso

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