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Pastorelle occitane - Claudio Franchi - copertina
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Pastorelle occitane - Claudio Franchi - copertina

Dettagli

2006
1 gennaio 2006
376 p., Brossura
9788876949449

Voce della critica

Fuori dal castello o dal borgo, in mezzo alla campagna e nella luce del mattino, un cavaliere incontra una ragazza impegnata a sorvegliare gli animali; subito inizia a corteggiarla e, dopo uno scambio più o meno lungo di battute, ne guadagna l'amore, oppure un rifiuto, qualche volta superato da una dolce violenza. Ecco, all'incirca, lo sviluppo narrativo tipico della pastorella, componimento lirico medievale che fa da controcanto alla grande canzone cortese: la richiesta amorosa disimpegnata, il carattere rustico della pastora, l'ambiente agreste, naturalmente penetrato di erotismo, dovevano rappresentare una specie di scappatella comica (in senso medievale) per gli autori e per il loro pubblico. Questa è però la situazione della pastorella francese: è infatti nella Francia del Nord dove questo genere poetico – a stare ai circa 150 testi tramandati – ha avuto la sua maggiore diffusione, dalla fine del XII secolo. Nella Francia del Sud, la pastorella in lingua d'oc ha goduto di minor fortuna (una quarantina circa di pezzi), ma di un netto primato cronologico, essendo attestata entro il 1150, quando cessa l'attività di Marcabru, trovatore fra i più antichi e autore delle prime pastorelle romanze giunte fino a noi. Le regole comunicative sono fissate sin d'ora: la narrazione in prima persona, con equivalenza di protagonista maschile e narratore; la presunzione di verità della vicenda; il dialogo fra i due personaggi, vera struttura portante del testo. La meno cospicua ma originale stagione della pastorella occitana continua subito dopo Marcabru con poeti di rango e meno, fin verso la fine del XIII secolo: ma è già con la più famosa delle sue pastorelle ("L'autrer, jost' una sebissa", L'altro giorno, accanto a una siepe) che vengono segnati in modo abbastanza stabile le intenzioni e i significati del genere come sarà concepito dai trovatori. Nello scambio di battute fra la villana e l'io narrante che cerca invano di sedurre la ragazza, fin troppo brava a rintuzzare con dialettica consumata le avance verbali dell'altro, si sviluppa un articolato dibattito sulla società e sulla sua parte aristocratica, sui doveri di quest'ultima e le barriere di classe che la separano dal vasto gruppo dei laboratores. La pastora di Marcabru è funzionale alla visione moralistica e conservatrice di questo poeta e il sale del componimento sta proprio nel rovesciamento delle qualità sociali: una contadina saggia (e perciò – incredibilmente – cortese) e un falso cortese (in quanto agisce eroticamente fuori dai limiti del suo ceto). Il divertimento del pubblico aristocratico di Marcabru era assicurato; ma anche la possibilità di fare di questo genere un luogo privilegiato per la riflessione su valori culturali e modi del fare poetico nel quadro della contemporanea lirica di corte, incentrata sulla macrometafora amorosa. L'introduzione e il commento del curatore sono molto precisi nell'individuare questo ruolo della pastorella occitana, che dunque assurge a una posizione inarrivata da quella francese: che si tratti di critica morale o sociale, di discorsi metaletterari o di insorgenza dell'io e del vissuto personale, la pastorella dei trovatori dice molto di più che la piccola avventura erotica del cavaliere a spasso per la campagna.
  Walter Meliga

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