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2
2010
1 gennaio 2010
112 p.
9788887450965

Voce della critica

Nei libri precedenti di questo giovane talento della poesia piemontese spiccava una sorta di tenerezza lirico-sentimentale, leggera e sempre ai margini, ingarbugliata dal tesoretto garante di una non trascurabile intertestualità da Novecento storico; erano scenari non sempre del tutto privati, delicati e sfumati per sottrazione, con la precedenza assegnata a un diarismo non carismatico quanto piuttosto un po' periferico e sussultorio. Ora Giovannone "decide di ritirarsi, lascia i registri della lirica, e si rifà una tana, lì si nasconde, visto che il mondo è ormai 'partito'": è Gian Luigi Beccaria, del quale il nostro autore è stato allievo di spicco (ricordo una tesi sulla poesia di Turoldo che mi si conceda di definire memorabile), che firma una schierata quarta di copertina ponendo in luce il carattere innovativo, o quantomeno di svolta, di questo libro. Si sa che ogni innovazione, compreso il panorama sperimentale di un Rabelais, risulta fondata soltanto se tiene conto di una tradizione più o meno recente rispetto alla quale l'operazione di apparente sovversione non risulta altro che una rilettura tempestiva e studiatamente azzeccata nel panorama spaziotemporale e anche sociologico di una lingua in atto di farsi provocazione estetica. Insomma, la provocazione sembra funzionare veramente se lascia riconoscere sullo sfondo la traccia di una pratica pregressa e spesso fondativa. È per questo che avanguardia e conservazione della memoria spesso coincidono. Le ricerche di Giovanni Pozzi insegnano.
Detto ciò è necessario riconoscere a questo singolare libro di poesia l'atterraggio, inusuale e molto ben riuscito, su un territorio di pratiche del segno che vanno da forme di ricerca intraverbale proprie di certo secondo Novecento ormai storico, e inoltre la rilettura, che definirei quanto mai opportuna, di modelli di paternità francese: la pratica del calligramma o del segno trascendentale da Apollinaire a Peret, da Bosquet a Queneau; la traccia del Limerick; un'area italiana tra Giulia Niccolai (ricordate "Como è Trieste Venezia"?), Toti Scialoja, Gianni Toti e certa avanguardia antiaccademica cui potrebbe non essere del tutto estraneo qualcosa del secondo futurismo piemontese, magari fino a certe pendici più moderate del lavoro di Lora Totino e della sua scuola. Spesso in questo libro c'è una rivisitazione retinica della "parola dipinta" la cui pratica è antichissima, ben più della pur celebre "divina" Bouteille che chiude il capolavoro di Rabelais. L'uso stesso della poetica del lapsus, che in Giovannone costituisce un punto di tangenza spesso in direzione non manieristica ma piuttosto argutamente cerimoniale, costituisce il risultato di una volontà di rottura del lirico per mezzo della falsificazione dall'interno di modelli convenzionali; se dunque il genere poesia soffre oggi di una crisi di leggibilità (e di mercato), questa operazione diventa una piccola ipotesi di rilancio e contemporaneamente costituisce in quanto tale una salutare e intelligente beffa rispetto a una diffusa seriosità che viene estesamente praticata all'insegna del "come se".
Questo libro non solo diverte, ma premia l'intelligenza (a partire dalla irresistibilità del titolo stesso), fino alla gratificante ma non scontata serie dei calligrammi che compongono la sezione Soste: undici sedie appunto, graficamente evidenziate con le parole, che ci introducono in una zona ristoratrice di satira intelligente e non frontale, certo più efficace che non una dichiarazione esplicita di denuncia del conformismo e del consumismo che lo sorregge. Naturalmente il libro non è tutto così ardimentoso e provocatorio, ma è certamente sintomo di una crisi allargata: la caduta di credibilità e di efficacia del lirico e del patetico, ma anche di certe tracce volontaristiche di impegno civile, può restituire alla poesia un ruolo e un recupero di identità andando a riattivare appunto zone efficaci delle tradizioni, imponendo al lettore responsabile una riflessione almeno implicita sulla caducità e sul ritorno all'indietro del messaggio troppo esplicito, e infine sulla sovrana efficacia dell'ironia quando sia investita con tanta intelligenza e con il doveroso controllo dei saperi settoriali. Ecco dunque un libro da maneggiare anche senza cautele, un piccolo quanto utile manuale contro la noia: dove tra svago, evasione e pensiero non sono tracciati (tale è l'abilità dell'autore) confini cogenti. Questa volta, semplicemente, il mondo è visto da lì; niente di più e niente di meno.
Giorgio Luzzi

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