Il parco dei cervi

Ad un certo punto del suo acclamato percorso di autore, Norman Mailer viene sedotto e completamente assorbito dal mondo del cinema; sì da cimentarsi in prima persona nei ruoli di regista, sceneggiatore, soggettista ed attore. Facendo seguito al precedente romanzo, “La Costa dei Barbari”, riprende il tema del maccartismo descrivendo, fra i protagonisti della narrazione, la figura di un regista sospettato di avere contatti più o meno loschi con personaggi legati al partito comunista e, stando alla politica del tempo, da considerare sovversivi. Un incubo tipicamente americano, dove gli animalismi delle persone che vi figurano sfogano le proprie frustrazioni in un’altalena di rapporti sempre ricolmi di tensione e paradosso. Tutto sembra finire con l’essere rigorosamente estremizzato: sesso e denaro tal quali ossessione, libertà e potere come sopraffazione, egoismo e conformismo, la falsità delle buone maniere ed il reale senso della trasgressione, idealismo logico ed illogico. Gli argomenti si alternano in una frenetica sinusoide di alti e bassi dal ritmo incalzante. Dal finto eroe di guerra all’ambiziosa stella del cinema, dal produttore ricco e potente alla squillo disperata, dallo snob dei salotti à la page al tossico autolesionista, ci si confronta con un continuo sali e scendi di emozioni introspettive e drasticamente sanguigne; tanto quanto lo era nel carattere e nel comportamento l’autore stesso. E come in ogni buona storia che si rispetti ciascuno vive la vita nel tentativo di trovare quella strada da cui riuscire a sentirsi definitivamente appagati. Un testo dal sapore amaro, a tratti coinvolgente ed incline a lasciar largheggiare nelle riflessioni, ma con l’ombra di aver oltremodo abusato dell’argomento sessuale per il solo scopo di accattivarsi la simpatia d’una certa tipologia di lettore. Perché Mailer è stato un grande scrittore, a cui però è sempre mancato qualcosa che lo riuscisse ad elevare al di là d’ogni “oltre”. C.Matar