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Paese senza cappello - Dany Laferrière - copertina
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Descrizione


"Paese senza cappello" è la storia di un ritorno: il ritorno di Vecchio Osso a Haiti, dopo vent'anni di esilio trascorsi tra Montreal e Miami, in fuga dalla dittatura di Duvalier figlio. Il paese, in apparenza, sembra lo stesso. L'odore del caffè è lo stesso, come i manghi maturi che si spaccano a terra, la bellezza ieratica delle donne che ondeggiano con le ceste sulla testa, l'azzurro senza incertezze del cielo, le schermaglie tra la madre e la zia. Come gli amici, rimasti fedeli alla loro giovinezza. E la povertà, brutale e violenta, la "continua cacofonia", il "disordine permanente", le paure e le credenze ancestrali che il potere manipola a piacimento. Ma c'è qualcosa di inatteso che si insinua nel ritorno di Vecchio Osso: incuriosito dalle allusioni e dalle mezze parole bisbigliate in casa e per strada, si ritrova coinvolto in un'indagine sui morti che continuano a vivere, sugli zombie haitiani, sui fantasmi che abitano il quotidiano. E mentre le storie si susseguono inarrestabili, il racconto che Vecchio Osso batte sulla sua Remington cattura mirabilmente il caleidoscopio di immagini dissonanti, umori e visioni dell'isola stregata dal vudù.
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Dettagli

2015
265 p., Brossura
9788874525584

Voce della critica

Il ritorno al paese natale è sempre un salto nel buio e due scritti di Dany Laferrière usciti in Italia quasi in contemporanea lo dimostrano chiaramente. Paese senza cappello è uno dei romanzi più celebri di Laferrière e racconta il ritorno ad Haiti del protagonista dopo vent'anni di vita a Montreal. Oltre a incontrare parenti e amici carissimi, l'alter-ego dell'autore si misura con le inevitabili discrepanze tra il paese sognato e il paese reale: "Il paese reale: la lotta per la sopravvivenza. Il paese sognato: tutte le fantasie del popolo più megalomane del pianeta". In veste di outsider è meno facile dare per scontate le abitudini, i tic, i tratti culturali più curiosi che chi vive nel paese ha assimilato. Questa posizione offre al protagonista anche l'opportunità di riflettere sulla sua stessa creatività e sul suo status di scrittore, tanto più che, una volta sull'isola, avrà un'occasione che supera le ambizioni di qualsiasi artista: quella di visitare il "paese senza cappello" ovvero l'aldilà. Con l'ironia e la limpidezza che rendono riconoscibile il suo stile, Laferrière sovrappone in qualche modo il paese senza cappello ad Haiti, rendendoli a tratti indistinguibili. La metafora di un popolo di zombi che si mescola a quello dei vivi non va però interpretata come una critica al paese natale: di Haiti e del suo popolo emergono anzi in ogni momento la forza e la dignità. Si ha un brivido lungo la schiena quando si leggono dialoghi (scritti originariamente vent'anni fa) come questo: "Bisogna avere fiducia in Geova", dice il tassista, "solo lui sa quanto è grande la nostra sofferenza e può alleviarla". "Oh! A volte," replica la donna con la cesta, facendo un lungo sospiro, "mi chiedo se non stia dalla parte dei ricchi". "No, signora, non dica così", sbotta il tassista quasi arrabbiato… "ognuno viva secondo la propria coscienza, ma l'ira di Geova sarà implacabile". Quando nel 2010 un terremoto di magnitudo 7.3 colpì Haiti, i testimoni di Geova locali furono tra i primi a dichiarare di averlo previsto, come Laferrière racconta in Tutto si muove intorno a me, una sorta di diario elaborato a partire dal 12 gennaio di quell'anno, quando lo scrittore si trovava sull'isola. Viste le circostanze drammatiche di questa testimonianza, la narrazione di Haiti è ancora più vivida in questa seconda opera appena uscita in Italia e la dignità di cui sopra acquisisce un valore assoluto, anche estetico, come quando, all'indomani del terremoto, il narratore scorge una venditrice di manghi, imperturbabile, con la schiena contro un muro, mentre espone i suoi dieci manghi a chi li vuole acquistare. "Questa gente è talmente abituata a procurarsi di che vivere in condizioni difficili che porterà la speranza perfino all'inferno". L'autore coglie l'occasione offerta dal terremoto per rivolgere ancora una volta, quindici anni dopo Paese senza cappello, uno sguardo affettuoso ad Haiti. Affettuoso ma disincantato, perché si tratta dello sguardo di uno scrittore oramai pienamente affermato a livello internazionale che non può esimersi dal proseguire la sua riflessione sullo spazio e sul tempo e, di nuovo, sulla scrittura: "Se torno così spesso col pensiero ai minuti che precedono l'esplosione è perché è impossibile rivivere l'evento in sé. Si è insediato troppo in profondità dentro di noi. Non è possibile prendere le distanze da un'emozione simile. È un momento eternamente presente". Se un poeta del presente come Laferrière scrive queste righe, vale la pena soffermarsi un po' più a lungo sulle sue riflessioni. Infatti l'evento traumatico del terremoto e le condizioni di vita dei superstiti in quei giorni terribili costituiscono un impulso a restare hic et nunc, quindi non fanno propendere Laferrière verso il rimpianto, non verso la recriminazione, ma verso una stupita gratitudine. È forse questo il legame più profondo tra la cultura haitiana e la scrittura di Dany Laferrière, pur fortemente influenzata anche da modelli europei e nordamericani. Tra i personaggi di Tutto si muove intorno a me c'è anche Rodney Saint-Éloi, poeta ed editore che si trovava con Laferrière al momento della prima scossa e rimase con lui anche nei giorni successivi. In occasione di un salone del libro di Montreal, al quale regolarmente partecipa con la sua piccola casa editrice, Saint-Éloi mi confidò che, pur avendo speso meno soldi per l'allestimento rispetto ad altri, aveva lo stand sempre pieno di gente. I suoi concorrenti, volendo carpire il suo segreto, gli chiedevano perché gli haitiani che affollavano il suo stand sorridessero sempre. Saint-Éloi rispondeva, serafico: "Perché non ci è rimasto null'altro che il sorriso." È questa Haiti, magnifica e magnificata in una serie di istantanee, che Laferrière ci lascia scorgere nelle opere in qualche modo complementari che sono state tradotte in italiano all'inizio dell'estate. Proprio questa magnificenza, tanto apparentemente circoscritta a un'esperienza individuale, a un paese, a un popolo, parla a quanto di umano c'è in ciascun lettore e può insegnare molto sul senso della vita. Nei primi anni 2000 ci fu una prima ondata di edizioni italiane di opere di Laferrière. Come sottolineato all'epoca nelle pagine di questa rivista ("L'Indice" 2005, n. 4 e "L'Indice"2006, n. 11) le traduzioni pubblicate allora e le relative scelte editoriali non erano adeguate alla statura di questo scrittore. Per rispetto all'opera e ai riconoscimenti ottenuti nel frattempo dall'autore, credo sia più che mai necessario valutare attentamente come si propone oggi Laferrière ai lettori italiani. In particolare per quanto riguarda Paese senza cappello, opera più difficile da tradurre rispetto a Tutto si muove intorno a me, perché maggiormente impregnata della cultura haitiana e maggiormente legata alle altre opere di ispirazione autobiografica dello stesso autore, ritengo che una traduzione più "filologica" sarebbe stata da preferire. Infatti, pur incomparabilmente migliore rispetto alle prime traduzioni pubblicate in Italia e pur globalmente godibile, la versione italiana di quest'opera, forse per privilegiare la scorrevolezza e la rapidità che costituiscono una delle cifre stilistiche dell'autore, riporta alcune scelte opinabili per chi conosce Laferrière, magari per averlo letto in originale. In particolare, il soprannome del protagonista, qui tradotto come "Vecchio Osso", oltre a non richiamare letteralmente l'espressione francese standard da cui scaturisce, che è al plurale, impedisce di fatto al lettore italiano di comprendere che "Vieux Os" è stato soprannominato così perché sin da bambino ama se faire de vieux os ovvero stare a lungo in un luogo e, nel nostro caso specifico, andare a letto tardi. Contemporaneamente, il soprannome allude al fatto che da bambino Laferrière – o quanto meno il suo alter ego narrativo – ha rischiato la vita a causa di misteriose febbri, è miracolosamente sopravvissuto e oggi ha una salute di ferro che porterà certamente (di fatto ha già portato) le sue ossa a invecchiare. I due significati emergono chiaramente dalla lettura di altre opere di ispirazione autobiografica di Laferrière che, quando saranno tradotte in italiano, dovranno presumibilmente proporre un soprannome per il protagonista diverso da quello che gli è stato attribuito in quest'opera, imponendo una discontinuità che forse si sarebbe potuta evitare. Analogamente, il primo frammento che costituisce Paese senza cappello ha, in italiano, lo stesso titolo dell'ultimo, ovvero "uno scrittore primitivo", mentre nell'originale l'ultimo frammento si intitola "un pittore primitivo" e lasciare questa differenza avrebbe rispettato maggiormente l'intento dell'autore (che comunque è certamente quello di gettare un ponte tra un frammento e l'altro e di "chiudere il cerchio"). Al di là di questi dettagli, questa doppia pubblicazione di romanzi di Laferrière è comunque un'ottima notizia per i lettori italiani.   Paola Ghinelli

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Conosci l'autore

Dany Laferrière

1953, Port-au-Prince

Nato Windsor Klébert Laferrière (Port-au-Prince, 13 aprile 1953), è uno scrittore e accademico haitiano naturalizzato canadese.Dopo aver trascorso l’infanzia a Petit-Goâve con la nonna – dove la madre lo aveva mandato per metterlo al riparo da eventuali rappresaglie del regime di "Papa" Doc Duvalier legate all’attività del padre, intellettuale e politico fuggito in Québec –, torna a Port-au-Prince, ma a causa del suo lavoro di giornalista dovrà nuovamente abbandonare la città nel 1976, sotto la minaccia delle milizie di "Baby" Doc, insediatosi al potere dopo la morte del padre. Riparato a Montréal, dove tuttora vive, si dedica a varie attività fino all’uscita, nel 1985, del suo romanzo d’esordio,...

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