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Profondamente indignata da questo libro. Offende gli albanesi e l'Albania.
Ornela si muove a scatti tra varie età e situazioni, ma sempre seguendo il filo logico dello stupore, del sarcasmo e a volte ironia. Ornela porta a riflettere, libro andrebbe proposto nelle scuole.
Se il travestimento femminile è una risorsa per ridicolizzare lo stereotipo maschile della donna, per fondare quello stereotipo l’uomo ricorre allo svestimento. Se ne occupa Ornela Vorpsi, nel suo eccellente esordio narrativo Il paese dove non si muore mai (Einaudi): ma non come atto materiale (sotto questo profilo, anzi, il romanzo è molto pudico) bensì come categoria dello spirito. In Albania, paese natio della scrittrice e teatro degli eventi, la bellezza è quasi una maledizione, è predestinazione alla prostituzione: trapassata da un occhio maschile violentemente profanatore della sua sessualità, la bella si vede svestita della possibilità di indossare un’identità diversa dal suo ruolo. Per di più all’interno di una dittatura, per la quale lo svestimento, come continuo denudamento spirituale delle persone, è la principale pratica costitutiva del potere. Non resta che abbandonare il paese, fuggire le radici e travestirsi da intellettuale cosmopolita che scrive in una lingua diversa da quella madre, come ha fatto la Vorpsi. (Ho incrociato la scrittrice per un’oretta in un contesto affollato. Faceva caldo e si era in un interno. Lei non si è mai tolta il soprabito, stringendoselo anzi addosso ed è rimasta piuttosto silenziosa. Lì per lì l’ho presa semplicemente come una posa da femme fatale. Dopo ho letto il libro e quel soprabito ha assunto sfumature più complesse).
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