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Anno edizione: 2005
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Nasce dall’esilio la scrittura di Norman Manea.Un esilio che l’autore definisce "simmetrico": nato in Romania nel 1936, all’età di cinque anni è deportato in un lager dell’Ucraina; nel 1986, all’età di cinquant’anni, è la dittatura comunista che lo costringe a emigrare negli Stati Uniti.Un esilio interiore progressivo che sceglie come via di comunicazione il ricordo e il dubbio.Il volume presenta una raccolta di racconti ampliata rispetto all’edizione originale del 1981. Succede nella fiaba del moldavo Ion Creanga che, in un soffio, dalla catapecchia dove abita il porco fino alla reggia dell’Imperatore, si stenda un ponte tempestato di pietre preziose dove, tra file d’alberi di ogni genere, cantano uccelli che non hanno pari al mondo.Succede nella Fiaba del Porco, raccontata da Manea, che il ritorno "nell’altro mondo", al di qua del campo di concentramento, non avvenga su un tappeto fatato.L’incontro con la città che "abitava in una nuvola", con le sue estati, case, famiglie e soprattutto parole, provoca solitudine e stupore nel bambino che per "cinque o cinquant’anni" aveva vissuto, rognoso e incimurrito, in una catapecchia.Il desiderio di ripulire ogni cosa, di ritrovare la normalità collettiva e rassicurante, talvolta lo soffoca, come il fetore di cotenna bruciata.Attraversare il ponte che separa i due mondi dà le vertigini.Ogni fiaba è una trappola: può succedere che il porcellino si sbarazzi della sua pelle e diventi un Principe Azzurro, ma può anche succedere che il principe sia esiliato per sempre nel Convento dell’Incenso, che il ponte sia portato via da una bufera violentissima, che il bambino non si trovi più davanti il muro nero della lavagna ma il muro dell’"altra scuola", senza professori e senza Pitagora. Nel tugurio dove si dorme fra patate, barbabietole e pidocchi, dove la vita e la morte si intrecciano come fili di lana lavorati a maglia (Il maglione), ogni magia è una minaccia poiché "ogni cosa può diventare ogni cosa".Tempestato di incantesimi e di torture il ponte che unisce l’apocalisse alla farsa è sanguinante come la membrana della giovinezza, come la solidarietà di un amore silenzioso e paziente che assomiglia a un programma di guarigione (Marina con uccelli). Come nel libro di Paolo Maurensig, L’ombra e la meridiana (Mondadori, 1998), dove il soggiorno del protagonista alla locanda del Cigno si tramuta in uno strano esilio, per Manea, lo spazio dell’infanzia e della vita diventa un vortice di immagini inestricabili. L’obiettivo inquadra in modo ossessivo feste, passeggiate, discorsi esaltanti, cantieri di lavoro volontario, villaggi di vacanza, evasioni inquietanti.Al bambino tenero e fragile, portato ai banchetti come un amuleto esotico, il cugino-professore insegna, dopo lunghe e severissime prove, l’ipocrisia dei discorsi su guerra e pace, su vendetta, giustizia, lavoro, discorsi serviti dopo la torta nuziale tra applausi scroscianti (Le nozze).C’è sempre un "maestro-regista" (Il maestro) che guida il piccolo ribelle verso la maturità e la conoscenza.Conoscenza di Dio e di Marx. Cerimonia di iniziazione tra candelabri antichi e profumi di piante sconosciute o in un campo estivo dei pionieri comandanti.La pellicola può cambiare ma il film è sempre a colori.Ovunque, nei racconti di Manea, il ritmo metallico dei tacchi su una pista da ballo, mentre il lodolo della fiaba ammonisce: "non rallegrarti così alle prime, ché tutto qui ti è ancora straniero e ancora non sei fuori dai pericoli".
recensioni di Fanella, C. L'Indice del 1999, n. 03
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