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Descrizione


Nellanno del bicentenario siamo stati tutti sommersi dalla chiacchiera sulla Rivoluzione. Si è parlato di revisionismo, di critica della vecchia interpretazione pro-giacobina dei fatti rivoluzionari. Ma generalmente non si è dato rilievo al fatto che gli storici, negli ultimi decenni, hanno passato sotto silenzio lopera che rimane fino a oggi il quadro più preciso e più affascinante, nonché la diagnosi più lungimirante della Rivoluzione: Le origini della Francia contemporanea di Hippolyte Taine. Come Michelet, Taine è grande scrittore oltre che grande storico. Ma, rispetto a Michelet, non partecipa in alcun modo allenfasi progressista, alla visione di un futuro tinto di rosa. Lo sguardo di Taine è sobrio e disincantato, come quello di Flaubert. E, come per Flaubert, ciò che lo domina è la passione per la forma e per la precisione. Così oggi queste pagine rimangono insuperate, non solo per lacutezza del giudizio, ma per la forma dellesposizione, assimilabile a quelle narrazioni totali che lOttocento ha scoperto e ci ha offerto. Questo pathos visionario ci accompagna nei ritratti e nelle analisi dei protagonisti della Rivoluzione, da Marat a Robespierre, e ugualmente nelle vicissitudini di oscuri personaggi che balzano fuori da innumerevoli carte degli archivi. Quando Taine scriveva, si era già cristallizzata una versione canonica della Rivoluzione Francese, ad usum del borghese devoto ai Lumi, che in vasta parte camuffava fatti e concetti. Fu un sentimento di furia contro questa contraffazione ad attizzare in Taine la «passione della verità». I risultati della sua indagine, e in particolare limplacabile analisi dello spirito giacobino, apparvero subito urtanti. Taine ne era perfettamente cosciente e in una lettera al suo vecchio maestro Ernest Havet fece il gesto di chiedere perdono per quelle «asprezze» che poi erano il suo dono più prezioso: «Perdonatemi le mie asprezze. Sapete che ho scritto secondo coscienza, dopo lindagine più estesa e più minuziosa di cui sia stato capace. Prima di scrivere inclinavo a pensare come la maggioranza dei francesi; solo che la mia opinione era unimpressione più o meno vaga e non una fede. È stato lo studio dei documenti a rendermi iconoclasta».
Lantico regime, prima delle tre parti delle Origini della Francia contemporanea, fu pubblicato nel 1876; La Rivoluzione, in tre tomi, uscì fra il 1878 e il 1884; la terza parte, Il regime moderno, in due tomi, tra il 1890 e il 1893.
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Dettagli

1989
20 novembre 1989
2004 p.
9788845907289

Voce della critica


(recensione pubblicata per l'edizione del 1986)
recensione di Lamberti, M.C., L'Indice 1987, n. 5

A più di cent'anni dalla comparsa (la prima edizione risale al gennaio 1876), "L'ancien régime" di H. Taine, di cui l'editore Adelphi presenta ora una nuova traduzione, si ripropone con vitalità e suggestione straordinarie. È il primo volume della vasta opera, "Le origini della Francia contemporanea", concepita da Taine nell'ultimo ventennio di vita e non ultimata (alla sua morte, rimanevano da scrivere gli ultimi tre capitoli).
Critico letterario, filosofo, sociologo e psicologo, Taine si è dedicato alla storia, per fare luce sui drammatici problemi politici della Francia del tempo, uscita sconfitta dalla guerra contro la Prussia e sconvolta dalla esplosione della Comune: per capire la realtà contemporanea bisogna studiare il passato e ripercorrere le violente trasformazioni che hanno portato al presente. Così, preparato da un appassionato e intenso scavo nei documenti d'archivio, nasce "L'ancien régime", a cui seguiranno i volumi sulla rivoluzione e sull'età post-rivoluzionaria.
L'opera storica di Taine - come d'altra parte la quasi totalità della sua produzione - ha sollevato alla nascita e nei primi anni del Novecento reazioni e sentimenti discordanti, di incondizionata ammirazione (Nietzsche lo definisce "der erste lebende Historiker") o di inappellabile condanna (secondo Croce, "Egli non fece progredire il metodo critico in nessuno dei campi di studio da lui toccati, non riaffermò nessuna verità già ritrovata, non ne trovò di nuove, non semin• nuovi germi, e in questa vece congegn• e mandò in giro non pochi paradossi e paralogismi"). La carrellata di giudizi riportati da C. Mongardini in "Storia e Sociologia nell'opera di H. Taine", Milano 1965, ben mette in evidenza che proprio dal mondo degli storici muovono le critiche più distruttive e le perplessità più profonde, mentre più facilmente psicologi e sociologi gli riconoscono importanza e ruolo di maestro. Le ragioni dell'incomprensione sono molto complesse e, secondo Mongardini, vanno dal malanimo personale al rifiuto del suo modo di concepire la storia. Di fatto, a prescindere dalle valutazioni espresse dagli storici, non si può dire che l'opera di Taine abbia segnato il cammino alla storiografia successiva: essa è caduta in un oblio da cui non si è ancora del tutto risollevata.
Ma analizziamo brevemente il libro. Nella Francia alla vigilia della Rivoluzione, tre categorie di persone, gli ecclesiastici, i nobili ed il re, racchiudono nelle loro mani poteri e privilegi. La loro posizione affonda le radici nel passato ed è in qualche modo legittimata dal ruolo svolto nel processo di costruzione della Francia moderna: il clero, che ha civilizzato i costumi imbarbariti dopo le invasioni, la nobiltà, che ha difeso le terre in assenza di potere centrale efficiente, il re, che ha costruito lo stato ed ha garantito la protezione degli oppressi contro gli abusi dei potenti, hanno ricevuto, in cambio della funzione svolta, vantaggi e diritti, gran parte dei quali sopravvivono alla fine del Settecento. Tuttavia negli anni molte delle condizioni di partenza sono mutate e gli ordini privilegiati hanno cessato di svolgere le mansioni che giustificavano le concessioni ottenute: l'aumento del potere del re e l'uso di funzionari non nobili hanno svuotato di ogni significato le antiche prerogative, un tempo legate all'esercizio della sovranità locale; queste sono sopravvissute sotto forma di diritti, esenzioni, privilegi fiscali a compenso della quasi totale perdita dell'antico potere. Non solo, ma la crescita della corte, con le immense possibilità che essa offre ai suoi nobili frequentatori, favorisce il distacco di costoro dalle campagne; dove rimane solo la piccola nobiltà intristita, troppo povera per poter rinunciare anche al minimo dei balzelli, tenacemente attaccata alle sue esenzioni come ultimo segno di superiorità, a fianco del basso clero oberato di lavoro e degli affittuari delle grandi tenute signorili, costretti anch'essi a sfruttare i contadini per pagare la rendita. Una pressione senza precedenti si esercita quindi sul mondo rurale: agli antichi prelievi, a cui non corrisponde più nessun servizio, si aggiunge il peso gravissimo dei nuovi, creati dal monarca per rispondere a sempre più pressanti ed incolmabili necessità di denaro. Le esigenze della corte e del suo mantenimento sono infatti altissime: il re conserva il suo potere assoluto solo a condizione di largheggiare in favori ed in spese, tanto che il denaro drenato in misura sempre più rilevante dalle campagne non basta mai; egli vende cariche, crea a pagamento nuovi privilegiati e prende denaro a prestito generando aspettative, timori e pretese di controllo sulla cosa pubblica in tutta la larga fascia dei creditori dello stato.
Il quadro strutturale è così completo, ma non sufficiente per spiegare la rivoluzione; mancano ancora le idee e Taine le segue nella loro nascita e nel loro sviluppo. Il punto di partenza è la società di corte, quel mondo artificiale, a cui i nobili sono costretti se vogliono godere dei favori del re; qui essi elaborano con suprema raffinatezza l'arte del saper vivere; costretti all'inattività, imparano a divertirsi ed a gustare i piaceri della conversazione e del gioco intellettuale, trasformandosi in pubblico ed in punto di riferimento obbligato per chiunque voglia esibire e diffondere i prodotti del proprio ingegno. Ne nasce una cultura fatta per la conversazione, uno stile "classico", che semplifica il linguaggio e lo depura di ogni vocabolo aspro e troppo specifico, rendendolo adatto all'atmosfera astratta della corte, che si combina con la speculazione scientifica, allargata dal mondo della natura alla società degli uomini, e partorisce concezioni semplificate e antistoriche. Vengono messe in ridicolo le fondamenta della società, i nobili giocano con l'anticlericalismo e con la spregiudicatezza in ogni campo, senza rendersi conto della pericolosità di questo divertimento. Dal mondo aristocratico questa filosofia scende e si diffonde tra gli elementi istruiti del terzo stato, preparando le condizioni per la totale rovina del sistema.
Il riassunto non riproduce che in minima parte la pienezza dell'argomentazione di Taine. La corrente principale si divide in una molteplicità di rivoli e di intuizioni secondarie, che con magistrale abilità retorica sono disposti a sostegno della costruzione centrale, ma che conservano valore ed interesse di per se stessi, anche quando l'ipotesi globale venga messa in discussione. Accanto a scorie ideologiche, a riduzioni semplicistiche, a concetti invecchiati, a errori nella lettura delle fonti - sono questi i principali difetti imputatigli dai detrattori - è tutta una miniera di idee, di intuizioni, di associazioni. Non tutte nuove, forse: alcune ad esempio sono già in Tocqueville - che aveva sottolineato il ruolo accentratore della monarchia e la perdita di funzione dell'aristocrazia locale - ma qualche suggerimento preso a prestito dalla storiografia precedente nulla toglie all'originalità dell'insieme.
"L'ancien régime" di P. Goubert (ed. italiana Milano 1976) e "La società di corte" di N. Elias (ed. italiana Bologna 1980) possono fornire utili punti di riferimento contemporanei per valutare l'attualità dell'opera di Taine. Il libro di Goubert, un classico nel suo genere, è una sintesi che ovviamente ha potuto beneficiare di risultati raggiunti in campi ancora vergini un secolo fa e tiene conto di variabili allora del tutto trascurate: ha notizie più abbondanti e più sicure sulla terra e sulla condizione contadina, restituisce al mondo rurale più attività e partecipazione, tiene conto della forza dei mutamenti profondi della demografia e dell'economia, tuttavia lascia in piedi buona parte della costruzione di Taine.
Più illuminante il paragone col testo del sociologo N. Elias. Qui i punti di contatto sono molti, anche se i due autori naturalmente si differenziano per il diverso grado di consapevolezza teorica e anche se in Taine è presente uno stigma morale che Elias esplicitamente rifiuta. Nella sua splendida descrizione della vita di corte, il primo si rende conto più volte di trovarsi di fronte ad un gruppo umano i cui protagonisti sono legati l'uno all'altro da reciproca dipendenza; coglie la funzione sociale del lusso e della magnificenza; intuisce l'importanza dell'etichetta che vincola il re non meno che i suoi cortigiani; sente che funzione sociale, cornice architettonica, etichetta, vita coniugale, educazione dei figli, manifestazioni intellettuali sono strettamente legate tra loro e vanno studiate nei loro reciproci rapporti. Molti elementi che costituiranno il cardine dell'argomentazione di Elias sono quindi anticipati.
La rassegna delle intuizioni di Taine potrebbe continuare, così come sono stati rincorsi i suoi errori e le sue semplificazioni. Al di là dei singoli meriti e difetti, rimane la bellezza di un'opera che si offre allo storico di oggi - esperto ormai dei limiti e dei pericoli di una eccessiva specializzazione - come modello di sintesi avvincente: un caso eccezionale di competenze scientifiche diverse riunite in un solo individuo, un esempio straordinario di come si può descrivere una società restituendone il gioco dei protagonisti nella complessità dei vincoli imposti dalle norme, dai valori e dalle istituzioni.

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