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Di cosa sia fatto il rapporto tra una madre e una figlia, solo loro possono saperlo. Se però le parti si invertono e la madre - volitiva, autonoma e indipendente, colta e intellettualmente vivace - deve essere accudita, l'equilibrio muta e la situazione si fa straniante. Ad avviarsi verso la fine non è solo una persona cara - la più cara al mondo - ma anche il proprio status di figlia. Zenarola con lucidità e affetto trasforma qui il decadimento per malattia della madre in un processo sofferto ma delicato, che appartiene alla vita nel suo susseguirsi di ricordi, eventi, attimi presenti. La struttura del libro - commovente senza essere triste - si caratterizza per capitoli brevi e veloci in cui la mesta cronaca di ricoveri ospedalieri si alterna a giocose memorie di infanzia e giovinezza nella montagna fornese o sul mare ligure, luoghi d'origine della famiglia dell'autrice. Raccontando la madre, per affinità o contrasti Zenarola racconta sé stessa esponendosi senza filtri o barriere eppure mantenendo un tono intimistico e privato. Attraverso pagine che scorrono lievi nonostante il dolore del sopravvivere, eleva il personale a collettivo, laddove il particolare assurge a universale perché di tutti. La scrittura di Zenarola è schietta e diretta, non edulcora né fa sconti, è a tratti impietosa. Nei suoi stessi confronti, almeno. Sembra quasi un percorso di espiazione in cui non manchino i sensi di colpa o di inadeguatezza. E tuttavia è un canto alla vita, un grazie per ogni momento vissuto e interiorizzato. Molto abile a cogliere e restituire dettagli in grado di dare colore e anima alla narrazione, l'autrice regala così al lettore immagini fresche e cangianti, passaggi ironici e personaggi iconici, istantanee di un'epoca ormai smarrita e forse rimpianta.
È un privilegio poter accompagnare, da adulti, i propri genitori, anziani, fino alla morte. Anche se il viaggio è doloroso, straziante, carico di pena e difficoltà. E rabbia. Per come la vecchiaia possa striminzire il corpo, piegare lo spirito, succhiare via ogni desiderio. Non lo riconosciamo più, quel genitore che ci rompeva le palle, che ci abbracciava, che ci proteggeva. Ivonne, la madre un po’ guerriera di Alessandra, però, ritorna viva, vivissima. Grazie a lei, ad Alessandra. Che ce la canta. Ma non in memoria. In presenza. Lei, Ivonne, è qui. Donna non comune, capace di fare scelte non convenzionali e di affrontare situazioni difficili con grande forza. E ironia. Che Alessandra ha avuto la fortuna di ereditare. L’ora più dolce potrebbe essere un libro triste, perché poi l’epilogo è inevitabile. Lo si respira già dalle prime pagine. Però non lo è, triste. È a tratti malinconico, sofferto, introspettivo. Ma è anche divertente. Senza forzature o prevedibili considerazioni vita-morte, essere-non-essere et similia. Ed è anche un percorso autobiografico. Non sarebbe possibile scrivere di una madre amata senza scrivere qualcosa di sé. Ma la protagonista non è mai Alessandra. È sempre e solo Ivonne. Più donna che mamma, più amica che mamma, più intellettuale che mamma. Anche mamma sì, ma senza troppi fronzoli. Alessandra non ci propina niente che sia volutamente lacrimevole (anche se io un po’ ho piagnucolato). Anzi, il suo aggravarsi Alessandra ce lo descrive in modo quasi cronachistico. Quasi freddo. Il calore è tutto in quei flashback che ci raccontano com’era Ivonne, come viveva Ivonne, cosa faceva Ivonne, cosa pensava Ivonne. L’ora più dolce è un libro bellissimo e sincero. L’ho praticamente divorato. L’ho sentito in pancia. Ma l’ho anche apprezzato per la splendida scrittura. E per la sua struttura. Scorre scorre scorre. Consigliatissimo.
La complicità emotiva e intellettuale tra una madre e una figlia, due personalità forti sempre pronte alla lotta e.... alla dolcezza. La perdita della madre é la perdita anche della parte bambina che c'é in noi, che non vorresti lasciare, e questo ti porta a pensare che...anche da adulti ci vorrebbe qualcuno che ci sbuccia le mele. Adoro l'ironia di Alessandra Zenarola!!!
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