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Oppio - Jean Cocteau - copertina
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Descrizione


Nel 1928, cinque anni dopo la morte dell’amico Raymond Radiguet, durante una cura disintossicante in clinica, Jean Cocteau, oppiomane, scrive e disegna. Per lui le due attività appartengono a un medesimo atto creativo: «Scrivere, per me, è disegnare, unire le linee in modo che diventino scrittura, o disunirle in modo che la scrittura diventi disegno». Così, nel corso delle giornate, dei singoli istanti, sotto i nostri occhi nasce un libro fatto di annotazioni, di giochi di parole, di giudizi da poeta («Il mio sogno, in musica, sarebbe di ascoltare la musica dei mandolini di Picasso»). Ai commenti sulla letteratura e sugli scrittori (si vedano le pagine ammirevoli su Proust, su Raymond Roussel) si aggiungono le osservazioni sul cinema (Buster Keaton, Chaplin, Buñuel), sulla poesia, sull’arte. Ma il tema lancinante, che ritorna a ogni pagina, è quello dell’oppio: «Mi sono reintossicato perché i medici che disintossicano non cercano di guarire i disturbi originari che causano l’intossicazione...». Ma il disturbo originario può essere guarito? «Tutto ciò che si fa nella vita, anche l’amore, lo si fa nel treno espresso che corre verso la morte. Fumare l’oppio è abbandonare il treno in marcia, è occuparsi d’altro che della vita, della morte». In questo libro Jean Cocteau ritrova la grande tradizione dei poeti visionari, quella di De Quincey, di Baudelaire, e soprattutto di Rimbaud.
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Dettagli

SE
2020
2 luglio 2020
176 p., ill. , Brossura
9788867235513

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AdrianaT.
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L'alcol rende folli, l'oppio rende saggi

Sulla scia di De Quincey, mi trovo a scoprire e a gustare l'estrema ecletticità di questo artista in gran parte dominato dalla tossicodipendenza. Mi sono chiesta spesso che uomo e che artista sarebbe stato senza la "medicina di Dio", ma a questo non c'è risposta, quindi tanto vale considerare la verve creativa di Cocteau imprescindibile dalle sostanze psicotrope che si calò, a fasi alterne, per tutta la vita, e prendere il meglio di quello che comunica. Oppio nasce in un periodo di disintossicazione; liberi pensieri riportati su carta, che spaziano fra poesia, disegni strambi, letteratura, aneddoti, aforismi, ricordi personali toccando un po' di tutto; certo, nulla si trasforma propriamente in oro, però da certe pagine non viene tanta fretta di andare via. «E mi chiedevo: tornerò a fumare o no? Inutile prendere un'aria disinvolta, caro poeta; fumerò di nuovo sei il mio lavoro lo vorrà. E se l'oppio lo vorrà».

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Jean Cocteau

(Maisons-Laffitte, Seine-et-Oise, 1889 - Milly-la-Forêt, Fontainebleau, 1963) scrittore francese. Amico di Picasso e di Stravinskij, di Apollinaire e di Diaghilev, fu una delle figure più in vista dell’avanguardia parigina nel periodo fra le due guerre. Dotato di un talento multiforme, nella sua copiosa produzione rifletté via via, e a volte anche simultaneamente, tutte le mode letterarie e artistiche di quegli anni. La sua produzione in versi, raccolta in parte nel volume Poesie 1913-1923 (Poésies 1913-1923, 1924), concilia una fantasia influenzata dai pittori cubisti con l’imitazione metrica dei poeti del Cinquecento. Le opere teatrali alternano tentativi di modernizzare gli antichi miti (Orfeo, Orphée, 1927; Antigone, 1928; La macchina infernale, La machine infernale, 1934; Bacco, Bacchus,...

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