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Anno edizione: 2018
Anno edizione: 2013
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Mi sono fatta di nuovo risucchiare dal mio amico Roth in gran spolvero in questa ennesima prova del suo fulgido talento. L'idea di fondo mi pare pazza (o forse no?) e geniale (o totalmente assurda?) assieme: diasporismo, deisraelizzazione degli ebrei... Tanta roba. E si ride pure, sempre per quel suo tipico umorismo/sarcasmo ebraico-americano che non mi stufa mai. Una trama bizzarra in cui doppie identità si mescolano, confliggono e si sovrappongono; una storia avvincente, un intreccio perfetto - perché non decodificabile fino all'ultimissima riga (giocherellone di un Roth!;) - fra fatti, finzione, vita reale e falso autobiografismo, narrato senza filtri, in cui non manca attesa, trepidazione e colpi di scena. E poi sempre quella profondità che ti avviluppa. Insomma, va via che è il "solito" piacere, ecco...
Diverso da tutti gli altri libri di Roth che ho letto. Molto particolare ed, a tratti, impegnato.
Il falso autobiografismo che tanto piace a Roth conosce in questo romanzo del 1993 uno dei suoi vertici assoluti. Il Leitmotiv dell'intera narrazione può considerarsi idealmente racchiuso in un bell'aforisma che si trova nel cap. 5: «il destino dell'uomo non è il suo carattere; il destino dell'uomo è lo scherzo che la vita fa al suo carattere» (p. 169). A partire da questa volontà di manovrare personaggi curiosi, identità precise e perfino il proprio stesso nome, l'autore mette in scena un'autentica giostra decisamente riuscita. Le parti migliori sono però, a mio avviso, le digressioni (alcune brevi, altre lunghissime) nelle quali Roth sfoga tutte le sue pulsioni nei confronti di ciò che la cultura ebraica può offrirgli e di ciò che lui può offire all'ebraismo: sebbene rischi di suonare tutto "loshon hora", è chiaro che non lo è.
Recensioni
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