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Ombre e lumi - Michael Baxandall - copertina
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Ombre e lumi - Michael Baxandall - copertina

Descrizione


In "Ombre e lumi" Baxandall, storico dell'arte docente all'Università di California, analizza le ombre e la conoscenza visiva da esse prodotta, passando in rassegna la scienza cognitiva contemporanea, le teorie della percezione visiva del XVIII secolo e la storia dell'arte. Dopo aver descritto le caratteristiche fisiche e le diverse varietà di ombre, l'autore ricostruisce il dibattito tra empirismo e innatismo sorto nel Settecento sul ruolo delle ombre nella percezione della forma, per poi offrire una panoramica dei moderni studi condotti nell'ambito delle teorie cognitive.
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Dettagli

2003
2 settembre 2003
217 p., ill. , Brossura
9788806166366

Voce della critica

"Questo libro prende in esame le ombre e il loro significato dal punto di vista della nostra esperienza visiva. Più in particolare confronta le nostre attuali nozioni sulle ombre con quelle del XVIII secolo e si propone di trarre qualche vantaggio da una simile comparazione. Pure in altre epoche storiche il problema delle ombre ha suscitato idee e riflessioni stimolanti, non vi sono dubbi in proposito: la discussione di queste stesse idee e riflessioni, tuttavia, esula dagli scopi del presente volume".

L'esordio di Michael Baxandall, nella prefazione al suo libro dedicato alle ombre, è programmatico non solo dell'intenzionalità del suo studio ma anche dell'atteggiamento analitico-scientifico al quale informa le sue posizioni teoriche che si proiettano a loro volta sui problemi dedicati all'attenzione, in una dialettica fra pensiero settecentesco e pensiero contemporaneo, che sceglie come campo di indagine la pittura.

Il libro di Baxandall, fra i più interessanti studiosi del secondo Novecento osservatore dei processi artistici e delle cause storiche, non è strutturato ai fini di una ricostruzione storica del problema dell'ombra né vuole intessere un percorso di art criticism, compiti invece affrontati da due autori contemporanei che negli stessi anni hanno dedicato due saggi all'ombra: Victor Stoichita, che nella Breve storia dell'ombra (1997) attraversa i diversi significati culturali dell'ombra nella storia dell'arte, fra storia della rappresentazione artistica e storia della filosofia della rappresentazione, ed Ernst Gombrich, che pubblica un piccolo libro, Ombre, in occasione di una mostra tenutasi alla National Gallery di Londra nel 1995, volto a sottolineare la funzione imprenscindibile dell'ombra rispetto allo statuto della rappresentazione pittorica e che si pone forse come ultimo atto della sua ampia riflessione sulla psicologia della percezione nella rappresentazione pittorica.

Un'indagine analitica, quella di Baxandall, che puntualmente parte dalla definizione degli elementi primari e fondanti la sua ricerca, che danno anche il titolo al suo libro, e vale a dire la luce e l'ombra e dunque la relazione o l'inter-reazione fra di loro: "L'ombra è prodotta da una mancanza locale e relativa di luce" e ancora, per dirla con uno scienziato settecentesco, "i buchi nella luce sono le ombre". Nella definizione dell'ombra, o meglio, dei generi delle ombre - dall'ombra portata o proiettata (shadow) all'ombra propria (self-shadow), all'ombra sfumata o ombreggiatura (shading) - il ricorso esemplificativo ed esemplare a Leonardo è d'obbligo per un umanista come Baxandall che, interessato ai problemi linguistici verbali e letterari del Trecento e del Quattrocento affrontati in Giotto e gli Umanisti (1971), trova nei linguaggi visivi di Leonardo un ottimo trait d'union per il passaggio alle sperimentazioni settecentesche sulla luce attraverso le quali analizza e spiega lo stile delle opere rococò che verifica nei disegni di Piazzetta e di Tiepolo o nei dipinti di Subleyras.

In questa indagine Baxandall mette subito a fuoco le componenti che entrano in gioco nella manifestazione della luce e delle ombre che concorrono anche nella rappresentazione artistica: vale a dire, l'emittente luminosa, il mezzo di diffusione, la superficie ricevente, la ricezione retinica con le relative modifiche e discontinuità. A questo tiro incrociato non è estranea la costruzione della sua critica inferenziale che informa il volume Patterns of intention (Le Forme dell'intenzione, Einaudi, 1985) e si fonda sulla individuazione delle cause (charge), delle circostanze (Brief), dell'ambito culturale (troc) per la comprensione delle intenzionalità del pittore da parte di noi contemporanei; nell'analisi di un quadro vi è "il nostro modo di considerarlo come il prodotto di un'attività intenzionale" e dunque l'interesse critico che emerge è "la tendenza del nostro pensiero a inferire cause".

Ma in Ombre e Lumi Baxandall sembra estremizzare o meglio semplificare, quasi in termini minimalisti, questa sua posizione critica, eliminando ogni gap fra analisi e riflessione critica e lavorando sui dati, sulle osservazioni ravvicinate dei fenomeni visivi e sugli effetti depositati da questi nella costruzione delle opere d'arte. Il fuoco si sposta dunque dall'intenzionalità all'attenzione, una problematica che l'autore sembra inaugurare in questo libro ma che è già introdotta dal saggio dedicato al dipinto di Chardin, La Donna che prende il te, nel citato volume Patterns of Intention, che esordisce: "In questo capitolo mi propongo di svolgere ragionamenti che condurranno a un punto di vista più vicino e particolareggiato". Già in questo capitolo intitolato Quadri e idee Baxandall chiamava in causa Locke per introdurre il legame fra certa pittura della metà del XVIII secolo e una corrente empirica della filosofia e della scienza del tardo XVIII secolo. Tale legame fra immagini e idee si fonda sulla riflessione della conoscenza, propria della scienza filosofica del Settecento, attraverso gli aspetti visivi e luministici e dunque attraverso le ombre. Il rapporto dunque fra l'osservazione dell'oggetto reale, una sfera che la nostra retina percepisce in termini bidimensionali, e la sua rappresentazione attraverso le ombre, grazie a una consuetudine visiva/mentale - estranea dunque a colui che, cieco dalla nascita, ha imparato a vedere attraverso il tatto e nel momento in cui riacquista la vista è incapace a vedere, vale a dire, a riconoscere nelle immagini visive gli oggetti a lui noti tattilmente - ci porta a inferire che "cause di cerchi ombreggiati sono appunto sfere solide".

Così quando Baxandall affonda la sua analisi ravvicinata della pittura attraverso le ombre trova la chiave di lettura delle opere analizzate nella loro struttura morfologica e nella positura delle figure, nel movimento e nella tecnica materica che si esprime, ad esempio, nella topografia dei tessuti del Caronte di Subleyras, a proposito del quale Baxandall conclude: "L'insieme delle ombre riflette tuttavia con meravigliosa evidenza il senso estetico caratterizzante il periodo: è un esercizio di composizione rococò". Tale attenzione agli aspetti materici, alla struttura delle immagini e degli oggetti come alla topografia costituiva già un aspetto portante e significativo del suo studio sugli scultori in legno (Limewood Sculptors of Renaissance Germany, 1980; Einaudi, 1989) dove Baxandall, da "dendrologo", conduceva un'analisi scientifica del legno di tiglio nel suo processo di conoscenza della scultura lignea nella Germania meridionale fra il 1475 e il 1525.

Le informazioni, dunque, che forniscono le ombre, nella conoscenza degli oggetti ai fini dell'interpretazione delle forme artistiche, sono alla base delle riflessioni sulla percezione anche da parte delle scienze cognitive e della cibernetica; alla luce delle ricerche di Koederink e di van Doorn, di Waltz e di Gilchrist, il ruolo delle ombre non si limita a stabilire la forma degli oggetti, ma contribuisce a leggere il contesto luminoso e spaziale entro cui percepire i singoli oggetti di cui si può conoscere la forma attraverso un'analisi dei contorni, una percezione e dunque un'attenzione, ravvicinata e se vogliamo avvolgente, dell'atmosfera e della luminosità della rappresentazione.

Con gli strumenti della scienza contemporanea Baxandall può dunque addentrarsi nelle considerazioni sulle opere d'arte che legge in parallelo con le idee e gli scritti dei teorici del Settecento, da Roger de Piles a Michel Francois, Dandré Bardon, Charles Nicholas Cochin e degli scienziati, matematici e fisici, come E. S. Jeaurat, J. H.,Lambert, Filippo Maraldi, Pierre Bouguer; da questi studi emerge un interesse per l'intensità e il colore delle ombre in rapporto alla distanza, alle superfici riflettenti, alla propagazione della luce, considerazioni che si rintracciano in Leonardo e che trovano un brillante mentore in Diderot, del quale vale la pena di riportare un passo dedicato al Vaso di olive di Chardin nella recensione al Salon de 1763: "Un vaso di antica porcellana cinese, due biscotti, un vaso pieno di olive (...) ecco questo è l'artista che comprende l'armonia dei colori e dei riflessi. O Chardin tu non unisci semplicemente del bianco, del rosso, del nero sulla tavolozza, tu unisci la sostanza delle cose, l'aria, la luce che tu afferri con la punta del pennello e trasferisci sulla tela".

Il piano dunque dell'osservazione empirico-scientifica, sulla quale Baxandall si sofferma anche sperimentalmente, e quello della rappresentazione e della riflessione artistica sono in continua dialettica in questo libro dove l'esperienza visiva è mediata da modelli, da immagini mentali che ci permettono di vedere e di identificare in un cerchio bidimensionale una sfera tridimensionale. Sembra riconoscere in queste considerazioni l'insegnamento di Ernst H. Gombrich, che nel suo importante libro Arte e Illusione, sulla scorta delle teorie della percezione visiva, affermava che noi vediamo ciò che già conosciamo.

Shadows è dunque un libro che con il ricorso alla filosofia e alla scienza settecentesca e contemporanea propone un approccio teorico-critico all'arte tanto attuale per i riferimenti e le aperture alla scienza contemporanea (come dimostra il recente convegno dedicato dall'Università di Trento a "Le ombre: dall'arte alle neuroscienze", Rovereto 2003) e alla sperimentazione artistica contemporanea, quanto esemplare in particolare quando si sofferma sulle opere di Chardin. Infatti, le pagine conclusive che Baxandall dedica a Il giovane disegnatore (Stoccolma, Nationalmuseum) attraversano gli aspetti più essenziali del suo saggio, vale a dire il problema della rappresentazione artistica che si esprime nell'operazione disegnativa del giovane artista secondo le norme accademiche di luce e di ombre e nel processo di astrazione della forma dalla realtà attraverso l'esperienza visiva. Il dipinto è dunque la rappresentazione di una rappresentazione: dal piano della realtà fenomenica si passa al piano della rappresentazione dove si colgono le modalità della rappresentazione pittorica.

Ma l'analisi di Baxandall è di tipo strutturale, segnico, materico, luministico, coloristico, che implica il ruolo dell'osservatore come elemento attivo ed essenziale nel ductus artistico di Chardin: "Il desiderio di Chardin di esercitare una sorta di dominio sull'osservatore, il suo esigere costantemente che la nostra attenzione si rivolga alla sua performance, ha qualcosa di inquietante". L'attenzione è dunque attratta, da una parte, da elementi discreti e minimali, quali il buco del cappotto del disegnatore, attraverso il quale si intravede la fodera rossa, che costituisce un fulcro visivo in dialettica sia con la tela e la texture del cappotto, ma anche della stessa superficie dipinta - come non pensare ai sacchi di Burri! - e, dall'altra, dalla testa col cappello a tre punte del giovane che costituisce il centro compositivo e il tema narrativo dell'opera; nel contrasto fra il disegno accademico e il quadro assolutamente vuoto viene dunque messo a fuoco il fulcro mentale e performativo del dipinto: il ragazzo che pensa e riflette sul modo???.

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