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L' occhio del leopardo
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L' occhio del leopardo - Henning Mankell - copertina
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occhio del leopardo

Descrizione


Figlio di una donna che non ha mai conosciuto e di un tagliaboschi con l'anima del marinaio, dal nord della Svezia Hans Olofson è arrivato nello Zambia inseguendo un sogno altrui. Profondamente colpito dall'immensa bellezza dell'Africa, decide di fermarsi, convinto di avere trovato una nuova casa. Per la fattoria che ha rilevato a Lusaka insegue ambiziosi piani di riforma, ma in quella terra ignota, completamente priva di punti di riferimento e proprio per questo così seducente, impara presto a conoscere il disprezzo dei bianchi e il sospetto dei neri, mentre la tensione e le minacce continuano a crescere intorno a lui. Un giorno, anche i suoi vicini vengono barbaramente uccisi, e Hans Olofson comincia ad avere paura, assalito dalla stessa impotenza che provava da bambino, quando il gelo faceva gemere le travi della sua casa vicino al fiume. Negli anni, il sogno africano si trasforma in una lotta per la vita e la morte. Intrecciando passato e presente, dai campi ghiacciati della Svezia alla soffocante calura dei tropici, "L'occhio del leopardo" è un viaggio non sentimentale alla scoperta di due culture inconciliabilmente diverse, un romanzo psicologico che scava nella mente di un uomo perduto in un mondo sconosciuto.
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Dettagli

2014
1 ottobre 2014
333 p., Rilegato
9788831719452

Valutazioni e recensioni

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Maurizio
Recensioni: 3/5

L'Africa descritta da Mankell è diversa da quella che ho conosciuto. Dal suo racconto emerge spesso la fatica e la lotta e troppo poco la speranza e la comprensione. Ma è un libro ben scritto, che vale la pena di leggere

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susanna bottini
Recensioni: 5/5

Straordinario, forse il migliore lavoro di Mankell. Incredibile che un'opera simile, pubblicata in Svezia nel 1990, abbia atteso 24 anni per essere tradotta e messa in circolazione in Italia. La storia di uno svedese che alla fine degli anni '60 arriva in Zambia, e vi rimane quasi vent'anni, trasformandosi in allevatore di galline, vivendo la ricca ma dura e pericolosa vita del bianco proprietario di terre e datore di lavoro, viene narrata con piglio deciso, descrizioni accurate, tanto dei personaggi quanto della situazione politica del Paese e della particolarissima situazione dei bianchi e dei loro rapporti con i locali. Il tutto, con frequenti flashback che riportano agli anni dell'adolescenza e della prima giovinezza in Svezia. Impagabili i dialoghi, a volte surreali, con gli africani, il che fa percepire chiaramente le abissali diversità che esistono tra noi occidentali e la popolazione locale. Un libro eccezionale.

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Giuseppe
Recensioni: 5/5

Piacevolissima lettura, di un continente saturo di contrasti. L'autore rende viva la sensazione d'insicurezza e di paura che si provano a vivere in un paese dove il presente e il futuro è molto nebuloso, ma che aiutano il protagonista della vicenda a crescere e a formarsi.

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Recensioni

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Voce della critica

  È frequente che scrittori di grande successo popolare abbiano coltivato ambizioni più alte, impegnandosi sul versante della letteratura non di genere. Su questa scia, che ha in Simenon e i suoi romanzi "duri" un esempio classico, si pone Henning Mankell, l'autore svedese più tradotto nel mondo dopo Stig Larsson, con oltre 40 milioni di copie. La sua produzione non si esaurisce però con le inchieste del commissario Wallander che gli hanno consegnato fama e successo, ma offre anche romanzi più impegnati. L'occhio del leopardo è uno di questi. Il protagonista, figlio di una donna che non ha mai conosciuto e di un tagliaboschi divenuto alcolista con l'anima del marinaio, reduce da una infanzia triste ancor più ingrigita dalla morte tragica del suo migliore amico e dalla opaca esistenza di una ragazza colpita dal destino, arriva in Zambia dal nord della Svezia. La sua non è una spinta autonoma ma l'inseguimento di un sogno non suo: il giovane si trova ad essere "pellegrino sulle orme di altri". L'Africa lo seduce, bella e dannata, con i suoi paesaggi selvaggi e dolci, i suoi animali e l'atmosfera irriducibilmente magica, e decide di fermarsi, ha l'occasione di gestire una fattoria che gli dà ricchezza ma non felicità. La sua nuova casa, che ha rilevato a Lusaka, è oggetto di sforzi per essere riformata ed adattata, ma Hans, il protagonista, in quella terra ignota è privo di punti di riferimento, impara suo malgrado a conoscere il disprezzo dei bianchi e il sospetto dei neri. Non riesce a farsi accettare completamente dalla popolazione locale che lo esclude perché potenzialmente pericoloso e gli altri lo emarginano. In Zambia, come altrove in Africa, gli stranieri sono considerati un pericolo e spesso vengono ferocemente ammazzati, la violenza è diffusa e fuori controllo, l'azienda dei suoi vicini viene assaltata e loro trucidati. Hans comincia ad avere paura e a sentirsi in pericolo, ma non sa come comportarsi, si sente straniero in un luogo che non conosce, si sente impotente come quando era bambino in Svezia e il gelo faceva gemere le travi della sua casa vicino al fiume. Il problema, vero ed ineludibile, è difendersi, salvaguardare la propria vita e gli anni a venire sono dominati da un solo obiettivo: lottare per sopravvivere. E in questo sforzo esistenziale ha una compagna: la paura di non potersi salvare. La sua è una ritirata perché il destino è invincibile, già segnato, sempre in agguato come il leopardo. Il romanzo descrive l'amara vista della bellezza, la convinzione che quanto seduce riserva sempre sorprese deludenti, che la vita è desiderabile ma nel contempo non vittoriosa sulle opacità della sorte. Hans è sconfitto e ripiega perché quei due mondi, l'occidente e il continente nero, sono inconciliabili. Mankell ha pubblicato questo scritto più di venti anni orsono, quando si avvicinava al Mozambico ove poi andrà lungamente a soggiornare. Nessun tenero e triste romanticismo alla Karen Blixen, ma la dura e forte convinzione che quelle culture siano inconciliabili, il campo ghiacciato della Svezia e la cultura asfissiante dei tropici. E ancora così?   Fulvio Gianaria e Alberto Mittone        

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La recensione di IBS

Forse per parlare dell’Africa di oggi, delle sue temperature estreme e della sua profonda disperazione, c’era bisogno di una voce alternativa. Uno svedese, ad esempio, avvezzo ai climi freddi e alla desolazione, alle immense distanze e all’aridità di certi ambienti e di certe famiglie. Hans Olofson è finito in Africa per caso. Dopo aver passato l’infanzia e l’adolescenza in un piccolo villaggio lontano dal mare, in una vecchia e scricchiolante casa di legno, con lo spettro di una madre mai conosciuta e il relitto di un padre boscaiolo e alcolizzato, decide a un certo punto di mettersi in viaggio. Quando compie questo suo primo passo verso l’ignoto, Hans ha diciotto anni e della vita non sa nulla. Anche le sue informazioni sull’Africa sono sommarie e intrise di luoghi comuni. Il sentiero che si è prefissato di seguire non è il suo cammino, ma quello sognato da una sua grande amica, Janine, che lo ha accompagnato lungo un tratto scosceso della sua adolescenza e che, prima di morire, sognava di raggiungere la missione di Mutshatsha, in Zambia.
Hans è solo un ragazzino che ha perso tutto, che anzi non ha mai avuto nulla, e sta inseguendo il sogno di un’altra persona, eppure verrà stregato dall’Africa, dalle profonde contraddizioni della sua popolazione costantemente altalenante tra la sottomissione e la ribellione, ma anche dalla grandiosità dello spirito selvaggio dell’Africa, che come gli occhi di un leopardo appostato nella boscaglia, ti trafigge e ti lascia senza fiato. In quel continente ferito e lacerato Hans rimarrà diciotto anni, troverà un’occupazione in una fattoria di Lusaka, al servizio di uomini bianchi, figli di coloni che non vogliono più andar via nonostante l’indipendenza del Paese e il pericolo di morte. Ma non smetterà mai di inseguire il demone nero dell’Africa, la sua malattia che gli fa ribollire il sangue e che lo fa naufragare come un vecchio marinaio, su un letto sfatto e febbricitante di malaria.
Hans Olofson, come Henning Mankell, ha un piede nella neve e uno nella sabbia rovente africana e vive, come il protagonista di questo suo racconto, in equilibrio tra la Svezia e l’Africa. L’autore infatti a 22 anni ha intrapreso il suo viaggio di formazione attraverso il continente nero approdando a Maputo, in Mozambico, dove oggi dirige il Teatro Avenida. Noto per la sua serie poliziesca dedicata al commissario Kurt Wallander e soprattutto per aver dato avvio in Italia al filone del “GialloSvezia”, Mankell dispiega in queste pagine vibranti tutta la sua abilità di scrittore a tutto tondo, inserendosi pienamente nella tradizione del romanzo psicologico e di formazione. Il racconto si sviluppa infatti su due piani narrativi che si alternano, entrambi scritti in prima persona, uno dal punto di vista dell’adolescente che è cresciuto tra i boschi della Svezia, l’altro dal punto di vista del bwana, l’uomo bianco africano. Un racconto che rasenta le altezze di Céline e Conrad, quando racconta della malaria e del naufragio spirituale dell’uomo, ma anche la profondità di pensiero di Lobo Antunes, quando si interroga sulla lenta agonia del continente africano.

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Conosci l'autore

Henning Mankell

1948, Stoccolma

Henning Mankell (1948-2015) è stato uno scrittore e regista teatrale. Ha vissuto tra la Svezia e il Mozambico, dove ha diretto il teatro Avenida, a Maputo. Ha creato la fortunatissima serie del commissario Wallander, pubblicata in molti paesi. In traduzione italiana si contato, tra gli altri: Stivali di gomma svedesi (2016), il giallo Il ritorno del maestro di danza (2010), il romanzo Scarpe italiane (2008), i romanzi di ambientazione africana Comédia infantil (2001) e Il figlio del vento (2002), e il libro testimonianza Io muoio, ma il ricordo vive. Un’altra battaglia contro l’Aids (2005).Tra i suoi ultimi romanzi pubblicati in Italia per Marsilio: Il cinese  (2009), L'uomo inquieto (2010), Ricordi di un angelo sporco (2012), La mano (2013), L'occhio del leopardo...

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