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Quella che Mario Giro narra, potrebbe essere definita la storia di uno sguardo capace di trasmettere una luce all'anima oscura di un uomo caduto nella trappola del terrorismo: "… al momento di fare fuoco, gli occhi di alcuni bambini ebrei si sono voltati verso di me e mi hanno fissato… qualcosa nel più profondo del mio cuore, che non so spiegarmi bene, mi ha fatto cambiare idea…" E’ l'altro, il suo sguardo, che ci definisce e ci forma. La vicenda di Merzoug Hamel è quella di un ragazzo, algerino di nascita, cresciuto in una banlieue di Parigi, che ha sperimentato le difficoltà dello sradicamento, del non essere né arabo né francese, di un'integrazione mancata che si trasforma in piccola delinquenza e prigione. Sembra essere la storia di uno dei tanti ragazzi che si sono rivoltati nelle scorse settimane nelle periferie parigine. Merzoug Hamel crede di trovare una risposta alle sue debolezze e alle sue frustrazioni nell'islam radicale: gli fornisce un riferimento, una causa in cui credere e per cui combattere. Così si converte, parte per il Pakistan, si esercita nei campi di quella che, da lì a poco, diverrà al-Qaeda. Nel 1994 gli viene chiesto di compiere un'azione terroristica. Il suo obiettivo: la sinagoga di Casablanca. Si apposta, prepara il fucile, inquadra il bersaglio. Ma "gli occhi di un bambino ebreo" sono stati - improvvisamente - una sorta di ancora di salvezza: quello sguardo gli ha impedito di compiere l'irreparabile. Merzoug spara in aria e fugge, ma non riesce ad evitare l'arresto e la condanna a morte per la sua partecipazione agli attentati. Ora spera nella grazia, chiuso nel braccio della morte di un carcere di massima sicurezza presso Rabat. L'autore sottolinea che Merzoug non ha meriti, ma il suo ravvedimento sta a dimostrare che è possibile cambiare: "…Sono giunto alla conclusione che non si può essere un eroe o un buon soldato prendendosela con i civili innocenti e senza difesa". Bel libro, scritto bene, scorrevole, suscita molte riflessioni su come si crea un terrorista.
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