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Nuova cronica. Vol. 1: Libri I-VIII. - Giovanni Villani - copertina
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Nuova cronica. Vol. 1: Libri I-VIII. - Giovanni Villani - copertina

Dettagli

1991
12 settembre 1990
Libro universitario
LXXII-744 p.
9788877464194

Voce della critica


recensione di Ragone, F., L'Indice 1991, n. 6

La cronaca trecentesca di Giovanni Villani, uno tra i più notevoli prodotti della cultura volgare dell'Italia comunale, è un'opera monumentale: la sua mole e la rapida e amplissima fortuna manoscritta hanno costituito a lungo una remora pressoché insormontabile a chi si accingesse ad allestirne un'edizione critica. Stampe del testo, certo, non sono mancate, dati i pregi di completezza e di ricchezza dei materiali contenuti, rappresentativi tanto dal punto di vista storico quanto linguistico e letterario: soltanto nel secolo scorso videro la luce ben sei edizioni, quasi sempre facenti capo alla vulgata fiorentina condotta, nel 1823, sulla base di un pugno di codici rintracciabili per lo più nei fondi manoscritti delle biblioteche di Firenze.
Solo da pochi mesi si dispone di un'edizione critica, sebbene ancora limitata a una porzione della cronaca (il progetto si articola in tre volumi, di cui il primo, appena pubblicato, contiene i primi otto libri); l'impresa, frutto della fatica più che decennale di Giuseppe Porta, già editore della "Cronica" dell'Anonimo Romano (Adelphi, 1981), permette di riaprire fondatamente la complessa questione testuale al centro della quale si colloca l'opera del maggior cronista fiorentino; rivelando della cronaca aspetti forse non immaginati, certo fino ad oggi poco noti, il curatore chiama in causa, accanto a delicate questioni di interpretazione filologica, le ragioni della storia interna del testo, della sua redazione, e quindi, a ben guardare, della sua impalcatura, del suo stesso significato.
Già da una semplice consultazione, le novità sono evidenti: prima di tutto il titolo, tratto dalla rubrica che precede il prologo dell'opera, in obbedienza alla volontà esplicita ma finora tradita dell'autore ("questo libro si chiama la Nuova cronica...") la divisione in tredici anziché in dodici libri, l'evento più rimarchevole di un rimaneggiamento formale e contenutistico che segna l'intera vicenda redazionale, la ripartizione dei libri in due distinti volumi, aperto il secondo da un prologo che introduce il dodicesimo libro, e la narrazione della calamitosa alluvione dell'Arno nel 1333. È merito di Porta, ed è uno dei risultati più importanti conseguiti, aver proposto all'attenzione del pubblico gli sviluppi del metodo seguito dal cronista nella compilazione della propria opera.
La "Nuova cronica" ci viene presentata nella variante di stesura presumibilmente definitiva, risultato della rielaborazione di una redazione primitiva la cui consistenza sarebbe chiaramente individuabile nella ricca e intricata tradizione testuale. In base alla successione delle redazioni così stabilita, l'editore desume che Giovanni Villani sarebbe tornato sulle proprie carte con lena infaticabile, in ossequio a un imperativo di affinamento dei mezzi espressivi, e in qualche circostanza intervenendo sulla struttura stessa della cronaca: come quando, per citare un caso, il cronista decise di spezzare in due il primo libro, per dar vita ad una partizione autonoma dedicata alle origini di Firenze (che è poi ciò che porta a tredici il computo totale dei libri della cronaca); qualche volta, invece, ed è questo ciò che colpisce di più, la revisione avrebbe comportato drastici tagli del materiale con perdite sensibili di informazioni, di commenti e di affermazioni probatorie, conformemente alla volontà di allinearsi alla politica del Comune che avrebbe visto nel cronista il proprio rappresentante "ufficiale".
È questa una proposta che suscita qualche (feconda) perplessità; da tempo è in corso un dibattito tra Giuseppe Porta e Arrigo Castellani e verte proprio sulle forme entro le quali si sarebbe sedimentata la tradizione del testo, prima di tutto quella degli interventi d'autore; l'iter redazionale delineato da Porta sarebbe in un certo senso, secondo Castellani, da "rovesciare", con il risultato principale di trasformare quei tagli in aggiunte e il nostro cronista, da solerte maestro di 'labor limae', in un operoso compilatore di materiali scritti e orali, sistemati in un libro che veniva assumendo sotto la sua penna l'aspetto di un composito quanto prezioso raccoglitore di fatti notevoli e degni di memoria: l'importante era seguire il filo di una narrazione per la quale l'ordinamento cronologico svolgeva una funzione orientativa fondamentale, non solo per il reperimento delle notizie, ma anche per la costituzione del tessuto logico che avrebbe sorretto l'interpretazione degli eventi principali della storia cittadina; benvenuti, dunque, e non espunti, gli inserti dalla letteratura cavalleresca, le divagazioni aneddotiche, informative o astrologiche, i commenti didascalici, le istruttive digressioni intese a confermare e giustificare l'ordine delle cose.
La questione non è di poco conto: è evidente come l'edizione critica e le discussioni suscitate fin dai lavori preparatori offrano un'occasione da non mancare per riflettere sul significato e sui modi di confezionamento e di diffusione delle cronache cittadine, e sulla loro contiguità con altri prodotti della cultura volgare, come le ricordanze o le cosiddette cronache familiari: scritture "aperte", in continue stratificazione, pronte a tradurre in note, postille e integrazioni il frutto dell'esperienza interpersonale, quasi a palesare la complementarità tra scrittura e oralità in una società in cui l'acculturazione alle pratiche della scrittura e della lettura è ancora imperfetta, e non sempre è chiaro il discrimine tra l'esigenza di tesaurizzare la propria conoscenza per tramandarne il frutto, e la volontà di adoperare la penna per dare espressione al proprio pensiero, alla propria interiorità.
L'adozione di un modello testuale quale appare quello scelto dal Villani rimanda ad abitudini in verità profondamente estranee al gusto umanistico per la finitura del discorso storiografico: non a caso il dotto Filippo, figlio di Matteo e nipote di Giovanni Villani, celebrando l'opera dei suoi predecessori, giudicava che "fecero per certo opera non molto bella ma tale che i fatti degni non perissero... degni per questa cosa d'essere laudati e ricordati"; e certo non furono sedotti dallo stile della "Nuova cronica" gli oltre cento copisti che a tutt'oggi ce ne conservano il testo quanto piuttosto dalla capacità dei suo autore di foggiarla in strumento di conservazione e di trasmissione di un passato in cui l'intera collettività era disposta a riconoscersi.

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Conosci l'autore

Giovanni Villani

(Firenze 1280 ca - 1348) cronista italiano. Mercante e banchiere, fu eletto più volte priore (1316-17; 1321-22; 1328); incarcerato nel 1346 in seguito al fallimento dei Buonaccorsi, morì di peste. Scrisse una Cronica (edita solo nel 1537, libri I-X, e nel 1554, libri XI-XII) dalla torre di Babele alla discesa di Carlo d’Angiò, con particolare riferimento a Firenze. I primi sei libri si basano su racconti leggendari, riproposti secondo un’interpretazione molto vicina a quella della Divina Commedia (il rapporto che lega la Cronica al poema, ipotizzato anche sulla base di numerosi riscontri di ordine lessicale, non è stato ancora definito con esattezza). Gli ultimi sei, i più interessanti (dal 1265 al 1348), danno un quadro preciso delle condizioni politiche ed economiche della Firenze due-trecentesca;...

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