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Un ottimo esordio. Per lo stile crudo, diretto, penetrante. Per la capacità di suggestionare il lettore con una visione inedita (seppure univoca) della realtà, di denudare il paradosso di molte presunte normalità famigliari erette su insofferenza, ipocrisia, indifferenza... Mi sono piaciuti Ada, Salmoni, La mano destra, Prime volte, Il gioco della torre, e ancor più La manovra di Heimich, Bergson, Come una casa vuota, Lividi, Pulizia; non mi ha invece convinto Senza pieghe: alcune riflessioni o citazioni (ad esempio Orfeo) non sembrano plausibili per un bambino…
Terminato a fatica e solo per placare il rimorso di questi 14 euro mal spesi. Non ho provato nulla se non la rabbia di un lettore che si sente preso per i fondelli dall'ennesimo autore che scrive solo per compiacere il proprio narcisismo. Guarda caso le critiche fanno sempre riferimento unicamente ai soliti 2/3 racconti... sarà che anche i critici non hanno retto fino in fondo?
Ho comprato il libro persuaso dalle numerose critiche positive lette in questi mesi. Quanto mai! L'ho trovato noioso, borioso, uno stile di scrittura eccessivamente ricercato al punto da fagocitarsi tutto il resto. Un gran bello sfoggio di metafore e virtuosismi linguistici, ma niente più. Sinceramente non capisco come ci si possa commuovere di fronte a un puro esercizio di stile.
Recensioni
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C'è un film di qualche anno fa (titolo italiano: Nei panni di una bionda) in cui Mel Gibson, pubblicitario di successo e donnaiolo impenitente, a un certo punto acquista la non voluta e inizialmente non gradita facoltà di ascoltare i pensieri delle donne (tutti i pensieri, di tutte le donne), proprio come se quelle stessero parlando ad alta voce. Qualcosa di simile fa in questo libro Gaia Manzini (di professione creativa pubblicitaria), ascoltando e trascrivendo i pensieri più intimi di personaggi molto diversi tra loro: uomini e donne, centenarie e dodicenni, madri e figli, studentesse e pensionati.
Però a differenza degli sceneggiatori di Hollywood, che dovevano soprattutto far ridere la scrittrice non si mette nei panni dei suoi personaggi, bensì nella loro pelle; non ascolta: sente ("la pelle sentesempre, anche se non ci facciamo caso", scrive Francesco Pecoraro in apertura del suo Questa e altre preistorie, appena uscito per Le lettere). In questi quindici racconti, la pelle è di volta in volta confine del sé ("comincio a mettere un perimetro, una sponda che posso toccare, all'urlo della pelle") e superficie sensibile ("la paura gorgoglia a fior di pelle"); è il modo in cui ci presentiamo al mondo ("come se l'essenza di mamma si ammassasse sulla pelle") e il modo in cui lo percepiamo ("l'ospedale ha l'odore della pelle di papà").
In questo senso, quella di Manzini è una scrittura profondamente epidermica ("quasi la vita fosse prima di tutto una cosa bestiale dove ci si riconosce nelle note della pelle, dei liquidi vitali, delle lacrime, delle feci") o meglio ancora corpolalica. Perché "la memoria, quella vera, ce l'ha il corpo", e dunque tutta la vita passa attraverso il corpo; ma "la vita è ricordare", e dunque non può essere vissuta davvero se non a distanza di tempo, quando opportunamente decantata riaffiora alla nostra coscienza e si reincarna nella pagina ("ho scritto un libro fatto di carne che continua a ripetere se stesso"): una vita in corpo dodici.
La pelle è anche nudità, ovviamente ("rimango sotto il suo sguardo, quasi fossi nuda"): strappati gli abiti dell'abitudine, al centro dei racconti rimangono proprio i corpi: "ecco a cosa pensa il corpo di una vecchia" (Ada), "il suo corpo non emana odore" (Dietro il vetro), "ritorno a essere solo corpo" (Carne della carne), "la mia prima volta, che è il suo corpo e la sua carne" (Prime volte), "il suo corpo esclusivamente per me" (Lividi).
La manutenzione degli affetti qui passa per la carne ("l'amore ti preme le tempie e tira la carne. Carne che combacia con altra carne") e privilegia i legami di sangue ("sua madre lo tiene tra le braccia e lui vorrebbe entrarle nella carne per farsi impermeabile all'odore di suo padre"). L'erotismo è solo un goffo tentativo di fuga dalla stretta soffocante di quei legami ("assomiglia a tutti gli uomini che ho avuto da quando ho deciso che dovevo averne il più possibile. Una specie d'abbuffata di carne"); esattamente come l'esotismo ("ha appena finito una Routard sull'Australia, ha riletto la Lonely Planet sull'Alaska, e aspetta trepidante che esca quella sull'Uzbekistan"), fuga vagheggiata e mai realizzata dalla claustrofobica realtà familiare ("la famiglia è un luogo: o sei dentro, o non ci sei per niente").
Non sarà un caso che quasi tutti i racconti in questo simili alle entropie domestiche narrate da Silverio Novelli nel suo Tutto in famiglia (Moby Dick, 2007) si svolgano in interni ("come se sostituendo la scenografia, cambiassero pure gli attori"). A eccezione di quello che con i suoi cambi di direzione e di punto di vista, con la sua sovrapposizione di piani temporali incerti è senz'altro il più bello di questa bella raccolta: Il gioco della torre.
Un racconto ambientato in un paesaggio tra l'edenico e l'onirico, inquietante e rarefatto ("quello laggiù non è un luogo, sembra una soglia, il confine di qualcosa. Forse solo una parentesi di vento e di luce"). Non un luogo, appunto, ma "una lingua di spiaggia resa incerta dalle maree": una sorta di verbalizzazione, la proiezione di un desiderio. Che è poi il desiderio banale, umanissimo di riconquistare il padre del proprio figlio, per smettere di essere "uno sgabello a due gambe" e diventare una vera famiglia: "compatti come un unico corpo sul ciglio di una torre. Il resto è vuoto, è quello che ignori, non puoi far altro", perché la famiglia recinta ed esclude, protegge e uccide; o perlomeno lascia morire, indifferente alle due bambine che nel mare "si dimenano come ali di gabbiano, sempre più veloci e paiono volare chissà dove, lontano, oltre lo sguardo". Così che alla fine quelle due bambine "venute dal nulla" si ritrovano a essere "due corpi stesi immobili", mentre "loro tre se ne stanno fermi, incorniciati nella loro nicchia di sabbia e di roccia".
Giuseppe Antonelli
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