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"...coltivavo la mia malinconia come gemma rara". La malinconia è il sottile filo che lega le pagine di "Novilunio", ottimo romanzo di Giovanni Monti. Malinconia che appartiene alla lucida consapevolezza dell'incapacità di Francesco Guerra, il protagonista, di amalgamarsi con la vita. Già il titolo del romanzo ci introduce in un ambiente triste, malinconico, buio. Del resto, il novilunio è la fase iniziale della lunazione durante la quale, la stessa luna, rimane invisibile. Non basta a ridare fiato al protagonista l'amore per la moglie Lavinia, alla quale, tra le file della storia che si evolve, scrive alcune lettere. La costruzione dei personaggi, riesce a trasmettere fino in fondo la loro personalità: don Mario, il lattaio, e Vitina La Mantia, che reagiscono in maniera così diversa ad una esistenza ricca di dolore. Ma la vita è fatta anche di sensi di colpa, che affiorano in Padre Lagrasta, con il quale Francesco Guerra instaura un rapporto intenso, alto, fatto di conversazioni interessanti. Una vicenda che si spiega tra le increspature di un'isola siciliana, tra affondi nella mentalità isolana e le sue bellezze, tra l'amore per la poesia e la tragicità dell'essere poeti. Un romanzo ben scritto e appassionante, ricco della cultura dell'autore che, forse , un po' si smarrisce in un finale un po' scontato (il suicidio del protagonista). Ci sembra aver ragione Padre Lagrasta quando dice "Non butti la sua intelligenza, professore. Venga quando vuole; parliamone [del suicidio], se parlarne le dà qualche sollievo".
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