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recensione di Santoro, G.F., L'Indice 1997, n. 6
(recensione pubblicata per l'edizione del 1997)
Esiste un gioco di società, che la colta borghesia anglosassone pratica da sempre, affidato alla sensibilità, inventiva, fantasia e naturalmente alle capacità culturali dei partecipanti: si immagina che personaggi della letteratura e del teatro siedano al desco dei convitati partecipando a una discussione basata su temi di attualità oppure su suggestioni di totale invenzione. Di solito i protagonisti del giuoco vengono scelti perché rispondono a due esigenze fondamentali: o sono personaggi ricchi, ben articolati e sentiti come vivi, di una possibile vita autonoma, oppure le motivazioni che scaturiscono dalla loro esistenza letteraria sono ancora irrisolte o talmente complesse che si avverte l'esigenza di un ulteriore approfondimento.
Nagib Mahfuz, prolifico scrittore egiziano, nato nel 1911 e insignito del premio Nobel nel 1988 - laureato in filosofia, giornalista e sceneggiatore - è stato sollecitato dal mondo fiabesco di Sharazàde non tanto perché intendesse ricostruire la complessità e l'inesauribile ricchezza fantastica delle "Mille e una notte", quanto perché interessato a rispondere a una domanda sempre intrigante: può il talento affabulatorio di un essere umano mutare la natura dell'interlocutore, può veramente risvegliare la "pietas" in un individuo assetato di sangue e di vendetta? E più in generale può la letteratura condizionare il potere e insegnare qualcosa agli uomini che gestiscono la vita dei propri simili? Il libro di Mahfuz inizia proprio là dove si chiude la lunga avventura notturna della principessa Sharazàde che, con la propria fantastica inventiva, è riuscita a scampare a una sicura morte e a farsi sposare dal sultano Shahriyàr. Ma la sposa si chiede se il sultano sia davvero guarito dall'ossessiva mania di vendetta oppure se il suo mutamento sia legato a un superficiale e passeggero ravvedimento.
Il libro delle "Mille e una notte" avvince il lettore per la struttura del racconto, legata profondamente alla mentalità araba: costruisce le favole come una sorta di meccanismo a incastri per cui all'interno di una favola un personaggio avverte l'esigenza di intrattenere gli astanti con un nuovo lungo racconto esplicativo, al cui interno si creano le condizioni per una nuova fiaba. Mahfuz invece, scrittore del nostro tempo "ricco di sfumature, ora realistico per chiarezza di vedute, ora evocativamente ambiguo" (dalla motivazione del premio Nobel), vincolato a pulsioni etiche sconosciute al mondo di Sharazàde, è più interessato a narrare la maturazione politica e quindi esistenziale del sultano Shahriyàr. Questi, attraverso l'esercizio del potere senza filtri o veli nei confronti della realtà che lo circonda, al termine di fantastici incontri (nei quali i personaggi di fantasia della consorte gli si presentano vivi, come Simbad il marinaio e Aladino figlio di Ugr) acquisisce una nuova, definitiva consapevolezza dei crudi funzionamenti dell'esistenza. Chiudendo il libro di Mahfuz sentiamo che personaggi come lo shaykh Abd Allah al-Balkhi, sua figlia Zubayda, il ciabattino Ma'rùf che diverrà governatore e il suo segretario il venditore di profumi Nur al-Din, sono lievitati dalle pagine dello scrittore egiziano per divenire nostri vitali compagni di strada.
Dopo mille e una veglia di racconti, fiabe, storie, Shahrazàd si è salvata la vita: il sultano Shahriyàr non ha ordinato che le sia tagliata la testa, come aveva fatto con tutte le sue amanti. Al contrario, ha deciso di prenderla in moglie. Il regno esulta: forse la straordinaria abilità di narratrice di Shahrazàd ha intenerito l'animo del tiranno. Forse d'ora in poi i sudditi verranno governati secondo giustizia, senza doversi affidare ai perversi capricci del sovrano. L'unica a non essere così ottimista è proprio l'artefice di questo apparente mutamento: Shahrazàd non è affatto convinta che le sue lezioni notturne di pietà e saggezza abbiano convertito Shahriyàr . Il romanzo di Mahfuz inizia esattamente dove terminano "Le mille e una notte", ed è anche una trascinante meditazione in forma narrativa sul testo letterario fondante della cultura araba: quanto è cambiato veramente il sultano Shahriyàr dopo aver ascoltato notte dopo notte, per quasi tre anni, la più formidabile delle narratrici? Quanto influiscono i racconti sul potere? Sarà l'amministrazione del regno, in realtà, a svelare al sultano la vera natura dell'abuso e della legge. Una lunga serie di incontri, colloqui, avventure lo metterà di fronte alle crudezze e alle seduzioni dell'esistenza, facendogli conoscere dal vero gli stessi personaggi che aveva potuto solamente immaginare dalle parole di Shahrazàd.
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