È una proposta davvero provocatoria quella in questo CD: provocatoria perché affianca tre ‘mostri sacri’ del pianismo del Sette-Ottocento, come Scarlatti, Beethoven e Chopin, a tre autori italiani del Novecento, Pick-Mangiagalli, Casella e Castelnuovo-Tedesco, sconosciuti ai più, rarissimamente proposti in concerto e noti, forse, solo ad alcuni pianisti che hanno letto i loro nomi sui programmi degli antichi esami di licenza e di diploma. Mai come in questo caso ciò che conta non sono solo il ‘chi’ e il ‘cosa’, ma soprattutto il ‘quando’, il ‘dove’ e il ‘perché’, cioè l’epoca e il luogo di composizione di ciascun brano e la ragione che ha portato un’interprete a uscire dalla consuetudine e a ragionare di storia. Si parte dalle raffi¬natezze del rococò della prima metà del Settecento, dove la musica per tastiera esiste quasi solo in ambito privato e familiare. È questo il mondo delle Sonate di Domenico Scarlatti (1685-1757), la cui fama è legata alle sue straordinarie sonate per tastiera destinate all’allieva Maria Barbara di Portogallo, nelle quali la forma bipartita in un solo movimento, viene esplorata in tutte le possibilità tecniche ed espressive. Quando nella seconda metà del secolo tutto cambia e alla chiarezza luminosa del barocco si sostituisce la sensibilità del classicismo, al clavicembalo si sostituisce il pianoforte, che può dar voce ai cambi repentini di umore e passare in un attimo dalla dolcezza alla forza. È un mondo nel quale la musica si esegue in luoghi dove i compositori-virtuosi come il giovane Ludwig van Beethoven (1770-1827) vengono accolti tra mille onori, e compongono brani come la Sonata op. 10 n.1 dove l’impeto e l’ardore giovanile dei tempi estremi si alternano al sobrio neoclassicismo di quello centrale. Una piccola storia del pianoforte che arriva al Romanticismo quando lo strumento è divenuto una ‘macchina da musica’ sempre più perfetta, onnipresente e pervasiva nelle case borghesi, nei salotti di cultura e nelle sale da concerto, simbolo dell’eroe romantico che vince su tutto e su tutti, maneggiato da interpreti-compositori come Fryderyk Chopin (1810-1849) per il quale la tecnica è un mezzo per esprimere un pensiero nel quale irruenza e dolcezza si alternano nel ricordo della patria lontana. A questo punto un CD ‘normale’ approderebbe all’ultimo Ottocento di Brahms o di Scriabin e concluderebbe nel Novecento di Prokofiev oppure in qualche partitura centroeuropea o americana di avanguardia. Questa volta invece un’interprete italiana affronta quel momento della storia musicale italiana per troppo tempo considerato un ‘tabù’ e che solo ora sta poco a poco iniziando a riscuotere interesse presso i musicologi e gli esecutori più curiosi: quello rappresentato dagli autori della cosiddetta ‘Generazione dell’Ottanta’. Si tratta di quei musicisti nati negli ultimi trent’anni del secolo, accomunati nella volontà di rinnovamento contro le gerarchie stabilite e la tradizione, abilissimi nel trattamento orchestrale, innovativi sul piano della ricerca sonora, meritevoli nella rinascita del genere sinfonico e cameristico da tempo dimenticato nel nostro paese e, purtroppo, bloccati sulla strada del rinnovamento dalle vicende politiche della prima parte del secolo e invischiati loro malgrado nella strumentalizzazione che della loro musica si compì nel mutato clima culturale e sociale del Ventennio.
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