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Di ritorno dalle "sognate periferie" dell'Oriente, nei primi anni del dopoguerra Fosco Maraini era costantemente alla ricerca di nuove avventure creative. Quando Diego De Donato gli propose un nuovo lavoro fotografico, accettò dunque con entusiasmo. Si trattava questa volta di raccontare una "sognata periferia" molto più vicina, ma anche segretamente affine a quelle che aveva descritto fino a quel momento: il "nostro Sud" dell'Italia meridionale. Dopo due anni (1952-53) di appassionate scorribande, il progetto, pensato per essere corredato dai testi di Carlo Levi, si arenò e le fotografie (più di tremila) scattate da Maraini rimasero inedite. Frutto di un'iniziativa del Gabinetto Vieusseux e della Regione Siciliana curata da Cosimo Chiarelli ed Elisa Ciani con il coordinamento scientifico di Maurizio Bossi e Francesco Vergara Caffarelli, questo prezioso volume ce ne presenta per la prima volta un'ampia scelta, arricchita dai ricordi di Dacia e Toni Maraini, da un'intervista a De Donato e da alcuni brillanti contributi che spiegano la storia di queste immagini. Fotografie di rara perfezione formale, che il passare degli anni e la sparizione del mondo che vi è ritratto caricano oggi di uno straordinario valore testimoniale. "Più passa il tempo e più la fotografia acquista un che di vagamente sacro e miracoloso raccontava Maraini, come ci permettesse di premere immaginari bottoni e resuscitare cose, eventi, paesi, volti paesi spariti chissà dove".
Cogliere l'"essenza" del Sud significava per Maraini riuscire a stringere "tra le due copertine" del libro tutta la "moltitudine di volti e di destini" che fosse passata davanti alla sua Leica. Ciò che gli stava più a cuore era infatti raccontare il diritto del paesaggio alla compresenza degli opposti: "Meraviglie ed orrori, paesaggi mitologici e povertà crudeli, castelli da poemi cavallereschi e vicoli pieni di fango e di sterco, ville di paradiso e bassi dal tanfo irrespirabile, cattedrali barocche, chiese pugliesi, rovine greche e casolari sperduti nelle campagne assetate d'acqua". Una scommessa tanto più seducente quanto esorbitante, che sembrerebbe bastare a spiegare il motivo per cui il progetto finì inghiottito "nell'immenso fuoco del Sud". C'era però dell'altro. Diversamente da Levi, che, come spiega De Donato, avrebbe voluto un libro sulle ragioni dell'arretratezza del Mezzogiorno, Maraini era spinto da motivazioni naturalistiche, che, seppur derivate da una temperie poetica più antica, gli permisero di proporre un tipo di fotografia nuovo, che andava oltre le contraddizioni dell'estetica neorealista. Parlando con Rocco Scotellaro, il sindaco-poeta di Tricarico, delle sfide che avrebbe dovuto affrontare la sua terra, Maraini si accorse che il punto di partenza del libro quella di definire "nostro" il Sud andava ripensato.
Chi guardi le fotografie di questo volume si accorgerà di come, invece di imporre tesi astratte ai luoghi che visitava, Maraini abbia fatto quindi un passo indietro, accettando il proprio punto di vista di "forestiero", in viaggio con l'andatura assieme partecipe e distaccata di un antropologo pronto all'ascolto. È questo il segreto di uno sguardo in grado di ritrovare il ritmo profondo dell'esistenza, quell'"em-presente" attraverso il quale lasciar presagire il legame tra l'istante dello scatto e gli infiniti tempi che restano fuori dall'obiettivo. La fotografia come mandala, insomma, mappa del mondo che è anche mappa del sé, "arte di dar caccia al volto del presente, com'esso emerge dal futuro ignoto per scivolare nell'imprendibile passato".
Luigi Marfè
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