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Dettagli

1996
184 p.
9788870782158

Voce della critica


recensione di Baricco, A., L'Indice 1992, n.10

"Qualche tempo fa, dopo aver inframmezzato come si conviene, lo svago allo studio, sollecitato dall'esortazione e del consiglio dei Signori Notabili a presentare al pubblico un saggio del mio lavoro, andavo attentamente considerando l'infinita varietà della Medicina e non riuscivo a sciogliere il dubbio: quale tema scegliere per la mia dissertazione, quale argomento di controversia accademica esporre? ". Queste righe hanno poco più di trecento anni. Le scrisse uno studente di medicina alsaziano, come preambolo alla Dissertazione con cui si proponeva di accreditare la propria dignità scientifica al cospetto dell'Università di Basilea. Si chiamava Johannes Hofer. Viene da immaginarselo, un po' smarrito di fronte alla sterminata geografia delle umane disfunzioni, intento a cercare, tra mille, la sua malattia. Forse fu, per viltà, per paura di doversi confrontare con studi altrui: ma la strada che scelse per uscire dall'imbarazzo aveva qualcosa di geniale: scelse una malattia che, nei libri di medicina, non esisteva. "Mentre ero preso da questi pensieri, si imposero alla mia mente i casi di certi giovani a tal punto sofferenti che, se non fossero stati riportati in patria, sarebbero spirati in terra straniera, vinti dalla febbre e dalla consunzione. Mi parve questa una malattia che valeva la pena di spiegare e descrivere, tanto più che nessun medico l'aveva sino a quel momento fatto".
Se ne erano talmente disinteressati, gli altri medici, che quella malattia non aveva neanche un nome. Glielo diede Hofer, guadagnandosi un posto non irrilevante nella storia: prese due termini greci - n•stos (ritorno) e àlgos (dolore) - e trovò la parola nostalgia . Presentò la sua Dissertazione il 22 giugno 1688. Una data rovinosa per gli esteti: un sentimento dal nome bellissimo (Heimweh, quasi un lamento) diventava una malattia, e entrava nello stesso universo lessicale in cui si sarebbero stabilite parole come nevralgia, sciatalgia, lombalgia. Cose da pomata. Miserie spicciole, autentico trionfo della prosa della vita sulla poesia dei sentimenti. (Dove, se non in Svizzera, poteva succedere una cosa del genere?).
La Dissertazione di Hofer la si può leggere ora, in italiano, in un volumetto curato da Antonio Prete e dedicato, appunto alla nostalgia. Niente di particolarmente scientifico o accademico: sembra piuttosto un instant book confezionato con abilità su un luogo dell'anima che è di moda da secoli e che continua, da Heidegger a Baglioni, a sedurre e intrigare. Accanto al testo di Hofer vi è raccolta una piccola ma intelligente antologia di contributi sul tema: la voce Nostalgie dell'"Encyclopédie", firmata da Albrecht von Haller, uno stralcio di una lettera di Rousseau, due altre note mediche di primo Ottocento (Pinel e Boisseau), una pagina di Kant, un capitolo de "L'irreversible et la Nostalgie" di Jankélévitch e un saggio di Starobinski (il concetto di nostalgia, 1966: scritto da cui, se non altro, si impara una bella citazione da La Rochefoucauld: "Ci sono persone che non si sarebbero mai innamorate se non avessero sentito parlare dell'amore").
Per chi non cerca una sistematica anatomia dell'argomento e ama, piuttosto, la rapsodica suggestione di percorsi un po' casuali e comunque curiosi, è una lettura che avvince e insegna. Tipico libro che, a leggerlo, ne suggerisce decine di altre da scrivere. In questo particolare, apprezzabile, servizio, si distingue il saggio introduttivo del curatore: una ventina di pagine scritte con penna elegante (già il titolo non è male: "L'assedio della lontananza"), una appassionata rievocazione di tutte (quasi tutte) le possibili sponde teoriche su cui si è appoggiata la parabola della nostalgia nel suo incerto vagabondare tra patologie mediche, affezioni dell'animo e precetti estetici. Nella sua curata brevità, non è un testo che affonda i colpi: colleziona indizi, si ferma sulla soglia di possibili aperture teoriche, sfiora ciò di cui parla. Ma intanto, dopo venti pagine, nella testa rimane tutto un mondo, ed è il mondo, a metà reale a metà immaginifico, in cui si coltiva, da tempo immemorabile, il diritto alla nostalgia: affascinante processione di giardinieri: medici ed enciclopedisti, Leopardi e Victor Hugo, Kant e Pessoa, Freud e Benjamin, Dio e Omero, Ovidio e Baudelaire, Dante e Cervantes.... Tutti lì, chini, a potare il fragile stelo di un dolore che, sanno loro perché, mai si potrebbe tollerare morto.
Nel suo percorso, Prete parte dallo studente alsaziano e dalla sua nuova malattia per allontanarsi dalla prosa medica e defluire nei terreni meno prosaici di un "sentire" dalle sottili implicazioni metafisiche e di una teoria estetica che finisce per santificare la nostalgia come humus della parola poetica e narrante. E uno dei tanti percorsi possibili. Se vogliamo, anche uno dei più frequentati. Si ha un po' l'impressione che qualcosa di più significativo si sarebbe potuto collezionare rimanendo a ridosso del testo di Hofer (che, per inciso, risulta incantevole nel suo declinare il serioso rigore di una scienza ancora bambina). La genialità di quel testo sta nel cercare la linea di confine oltre la quale un sentimento diventa una malattia. In sé è un gesto assolutamente arbitrario. Si potrebbe applicare a mille altri sentimenti. Per dire: l'invidia. Avrebbe sicuramente notato, il giovane e solerte Hofer, che una ricca patologia - forse non mortale ma certo fastidiosa - affiora nei soggetti colpiti dal successo altrui: non sarebbe stato nulla trovare le due parole greche giuste e scoprire una nuova malattia. Ma l'invidia è rimasta un sentimento (chissà perché, condannato) mentre la nostalgia ha assunto un suo statuto di malattia. Perché? E se la nostalgia è, come sembra sostenere Prete, l'habitat della poesia, bisogna concludere che la parola che canta e quella che racconta sono, in un modo o nell'altro, frammenti di malattia, scorie dorate di un disturbo della psiche, abdicazione elegante allo strapotere di un male?
In definitiva, più che interrogare sul tema della nostalgia, il testo di, Hofer sembra soprattutto chiamare a una riflessione sull'ambiguo rapporto tra sentimento e malattia. La mancanza di testi d'area psicoanalitica, induce a pensare che Prete, deliberatamente, abbia dribblato nel suo volumetto questa traccia di riflessione. Peccato. Non sarebbe stato male, tra l'altro, accostare l'ingarbugliata prosa dei santoni della psicoanalisi alle parole candide del buon Hofer: "La nostalgia, per quanto almeno mi è dato di sapere in una materia così oscura, è sintomo di una immaginazione turbata, prodotto dagli spiriti vitali che nel loro moto seguono quasi un unico percorso lungo i condotti bianchi dei corpi striati del cervello e i canaletti del centro ovale, e quindi suscitano nell'anima l'idea esclusiva e persistente del ritorno in patria". Meraviglioso. I "condotti bianchi", i "canaletti", il "centro ovale". Il mondo delle favole. E invece era scienza.

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