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Non ho niente da nascondere. Interviste sul cinema e sulla vita
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Non ho niente da nascondere. Interviste sul cinema e sulla vita - Michael Haneke - copertina
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Non ho niente da nascondere. Interviste sul cinema e sulla vita

Descrizione


Due strade parallele, dritte e morbide come la serenità solare che le avvolge. Una macchina avanza piano con una barchetta a rimorchio, mentre in sottofondo si innalzano le voci di Jussi Björling e Renata Tebaldi che intonano "Tu qui santuzza". Vediamo mani che scelgono cd, sentiamo risate: una coppia sta giocando a chi indovina la canzone; il figlio, sul sedile dietro, è chiamato a fare da garante. Torniamo a vedere la macchina dall'alto; poi la telecamera ci mostra i volti della famiglia felice, in procinto di raggiungere la casa delle vacanze. Ma il canto di Beniamino Gigli si strappa, diventando l'angosciante Bonehead dei Naked City, che mitraglia lo spettatore accompagnando l'arrivo di titoli di testa rossi come il bagno di sangue verso il quale gli inconsapevoli, sorridenti passeggeri sono diretti. Un presagio crudele, rivelato solo a chi è in sala, impotente. Poche sequenze come l'inizio di "Funny Games" sanno raccontare in modo emblematico l'arte di Michael Haneke, uno dei registi e sceneggiatori più originali degli ultimi trent'anni. "Non ho niente da nascondere" è il suo più fedele e intimo autoritratto: solitamente laconico fino all'estremo, Haneke sceglie per la prima volta di raccontarsi in una lunga intervista che ripercorre tutta la sua esistenza e la sua carriera, dall'adolescenza nella periferica Wiener Neustadt alla tormentata vocazione religiosa, dai complessi rapporti con attrici e attori alla maniacale cura del sonoro, dai primi lavori per la televisione austriaca a "Happy End", passando per i premi a Cannes e per l'Oscar ricevuto con "Amour". Haneke racconta la sua vita con una franchezza violenta, svelando i segreti di una consapevole e ostinata ricerca di verità sugli uomini attraverso l'artificio di immagini e suoni. "Non ho niente da nascondere" è un'immersione in un microcosmo di forze brutali e sotterranee, in grado di frantumare la gelida superficie della vita quotidiana e lasciare lo spettatore faccia a faccia con la propria nuda miseria.
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Dettagli

2019
20 giugno 2019
412 p., ill. , Brossura
9788842825845

Voce della critica

Michael Haneke, in cerca del Soggetto
di Filippo Polenchi

Il titolo italiano del libro-intervista di Michael Haneke, il grande regista austriaco che ha vinto per due volte la Palma d’Oro al festival del cinema di Cannes, Non ho niente da nascondere, gioca sì, forse un po’ troppo facilmente, con il titolo di uno dei suoi più celebri film (Niente da nascondere, del 2005), ma può dirci qualcosa di più interessante rispetto all’originale Haneke par Haneke, certo più sobrio e più cinefilo, così classicamente modellato sul campione di Truffaut/Hitchcock.

Già nel 2005 con l’italiano Niente da nascondere, variando significativamente dall’originale Caché (ovvero, ‘semplicemente’, nascosto), si effettuava uno spostamento di peso dal Soggetto all’Oggetto. Nascosta era l’identità dell’autore dei misteriosi videotape che pervenivano all’indirizzo della coppia parigina Daniel Auteil-Juliette Binoche, nascosta era la prossemica di chi filmava e nascosta, soprattutto, l’ontologia del materiale che vedevamo: era il cinema o un filmato videoregistrato? Niente da nascondere, invece, svuotava l’ambiguità originaria per spifferarci in qualche modo il tema del fraseggio drammaturgico (la colpa, la rimozione, il postcolonialismo).

Trovo che sia nel continuo attraversamento di questo checkpoint Charlie tra Soggetto e Oggetto l’aspetto più interessante del libro. Non mancano gli elementi biografici curiosi, anche insoliti, pensando al rigore e alla raffinatezza gelida del regista (“Inizialmente, si cerca una risposta alle proprie paure e ai propri desideri. Poi, incontriamo l’altro sesso e tutto viene incanalato in un’altra direzione. All’inizio era Dio, poi sono state le ragazze!”): dall’infanzia – per lui figlio di due attori, cresciuto con la madre e con la zia, prestissimo impiegato come Dramaturg nella televisione tedesca e con una lunga ‘gavetta’ teatrale – al cinema, al quale approda a 46 anni con l’ancora oggi sconvolgente Il settimo continente (1989); dalla sua passione per la musica (“Sono un uomo d’orecchio”), ai suoi gusti cinematografici (i film che più cita nelle interviste sono: Lo specchio di Tarkovskij, Au hasard Balthazar di Bresson, Salò di Pasolini; Hitchcock è un “maestro”, amatissimi anche John Cassavetes di Una moglie, Maurice Pialat e, a sorpresa, anche C’era una volta il West di Sergio Leone).

Ma più dei gustosissimi approfondimenti tecnici sulla fabbricazione delle singole pellicole (l’illuminotecnica, l’attenzione per il sonoro, la millimetrica preparazione in fase di sceneggiatura, il découpage mentale, gli storyboard, la leggendaria tensione alla quale sottopone troupe e cast durante le riprese) è l’esplorazione delle zone di responsabilità del Soggetto-che-guarda (su Funny games, “che cos’è davvero la violenza e come possono diventare complici degli aguzzini, ricordando a più riprese che quello che stanno vedendo è solo un film”) apparentemente negata ma sempre presupposta (“Ci troviamo di fronte solo a ordini che vengono trasmessi dai media, senza la possibilità di metterli in discussione. Siamo quindi vittime degli eventi e la politica non serve più a nulla”), la parte più interessante dell’intero libro.

Recensione completa su Alfabeta2

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Conosci l'autore

Michael Haneke

1942

Michael Haneke (1942) studia filosofia, psicologia e teatro a Vienna. Dal 1967 al 1970 lavora per la televisione tedesca. Nel 1970 comincia la sua carriera di regista indipendente. Cura molte regie teatrali a Vienna, Berlino, Monaco, Stoccarda, Düsseldorf, Francoforte e Amburgo. Tra i suoi film, Funny games (1997), Storie (2000), La pianista (2001). Con Feltrinelli ?Le Nuvole” è uscito Niente da nascondere (2006).

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