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Non chiamarmi col mio nome - James Purdy - copertina
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Non chiamarmi col mio nome

Descrizione


«Purdi è un campione nel gestire intensità emotive elevate conservando un'eleganza che confina col decoro e lasciando allo stesso tempo tracimare sottotraccia un senso di sordido disagio che ogni volta suggerisce che non vi sono possibilità di redenzione.» - Vanni Santoni, La lettura - Corriere della Sera

James Purdy e la sua scrittura rimangono un rebus oggi come ieri. Amato da autori che non potrebbero essere più diversi - tra gli altri Jonathan Franzen, Gore Vidal e David Means che firma l'introduzione a questo libro -, non ha mai incontrato il favore del grande pubblico né lo ha mai ricercato. Forse proprio perché non l'abbiamo capito meriterebbe ancora un'altra chance per confonderci e sviarci, per mostrarci come la letteratura possa ancora essere un oggetto misterioso che prescinde da regole di scrittura fissate come fossero le tavole del tempio. La prosa di Purdy potrebbe suonare anacronistica, con le sue didascalie, il suo marchiano "tell don't show", questi personaggi che fulminano a bruciapelo gli interlocutori con domande sul senso delle cose, stridenti nella loro chiarezza e crudeli nel loro essere stralunate. I neon di un cinema notturno piuttosto equivoco squillano "uomini uomini uomini", e nella sala buia qualche marchettaro è intento a conoscere col tatto corpi e fremiti propri e altrui. Così come gli Holden efebici che perlustrano gli anfratti più bui di un parco sordido varcano quel territorio di confine che è l'omosessualità, allo stesso modo la lingua di Purdy sta e si misura fra ciò che dice e ciò che esclude dall'esser detto, ciò che rimane fuori ma soprattutto sotto l'abito di parole confezionato da questo formalissimo sarto letterario. Sotto una spessa patina di urbanità e manierismi, pulsa una voragine di desiderio e gli interpreti azzimati e ossequiosi di queste turpitudini mai esibite, ma solo ruminate e vissute, hanno un'onomastica e una "quirkiness" tutta dickensiana. Nell'America che ha fatto una patologia della sua purezza, Purdy si prende il rischio di addossare la colpa alle vittime, con una prosa perturbante che non disvela e non smaschera, ma anzi fa più buio quando ci sono tutte le luci accese.
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Dettagli

2018
15 marzo 2018
XII-223 p., Brossura
9788899767129

Valutazioni e recensioni

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Anto
Recensioni: 5/5

James Purdy è conosciuto, paradossalmente, per essere sconosciuto (un po' come una Kardashian, ma al contrario). Dopo la sua morte la sua piccola nicchia di lettori lo fecero diventare un autore di culto, per poi essere riscoperto pian piano anche dal grande pubblico. I suoi racconti riflettevano l'uomo, il suo tormento, il suo senso di esilio dalla vita e dal mondo eterosessuale dei suoi tempi, quello di Updike e Cheever che dominavano la letteratura del periodo. I suoi modi formali, da aristocratico delle periferie, un uomo che a detta di David Means sembra uscito da un'opera di Lynch , si riflettevano anche nelle sue opere. Purdy, infattti, si muove tra l'onirico e il realismo, dando vita talvolta a racconti "strambi", ma che scandagliano la natura delle relazioni umane. I suoi racconti parlano, per lo più, dei desideri della carne, e svelano come dietro i tic della vita quotidiana, dietro gli aspetti solo apparentemente banali dell'esistenza, in ballo ci fossero sempre forze sessuali, sensuali e sovversive. [D. Means]

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marco falovo
Recensioni: 3/5

Come in altri suoi libri anche in questo James Purdy usa la scittura a volte un pò troppo in maniera didascalica e lenta, i personaggi troppo spesso si muovono in sordite esperienze raccontate con crudezza che può creare distacco da parte del lettore; tanti sono i perdenti che si muovono in un sottobosco a tinte forti e spesso la scrittura presenta la bassezza umana in modo così crudo che a tratti il lettore se ne spaventa. Resta comunque un'opera da leggere.

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furetto60
Recensioni: 4/5

James Purdy, non è nome del tutto sconosciuto al pubblico italiano. Einaudi ha pubblicato buona parte delle sue opere, oltre ad un paio di editori. Qui la giovane Racconti Edizioni propone una raccolta di racconti di cui l’ultimo, l’unico lungo, 63.Palazzo del sogno, già apparso nel 1960. La prosa di P., essenziale e priva di qualsiasi ricerca stilistica o estetica, si riferisce a eventi, per così dire, minimi. Anche nel caso in cui un’anziana insegnante suona nuda alla porta di un suo vecchio alunno, non c’è alcunché di pruriginoso, nessuna spettacolarizzazione. È quindi autore che infonde al lettore emozioni circoscritte, ma non meno inquietanti in alcuni casi, che fanno riflettere sui vari piccoli drammi della vita quotidiana. Molto simpatica la veste editoriale, curata nella grafica e nel supporto (maneggevole, caldo), caratteristica di tutto quanto sinora pubblicato dalla Racconti ed.ni.

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James Purdy

(Fremont, Ohio, 1923 - Englewood, New Jersey, 2009) scrittore statunitense. Il tema dei suoi romanzi e dei suoi racconti è l’America delle grandi città e della provincia, trasformatasi progressivamente, negli anni Cinquanta e Sessanta, da «sogno» in «incubo». Nell’intento di rendere la violenza urbana, le crisi d’identità, i vuoti nella comunicazione la sua scrittura, all’apparenza precisa e tagliente, si apre alle complessità del sogno e del mito. Figure archetipiche popolano il suo mondo profanato: figli alla ricerca del padre, come i giovani protagonisti di 63: palazzo di sogno (63: dream palace, 1956), di Malcolm (1959), di Rose e cenere (Eustace Chisholm and the works, 1967), madri distruttive o donne sterili alla ricerca di un figlio, come la protagonista di Il nipote (The nephew, 1960),...

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