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Il nemico alle porte. Quando Vienna fermò l'avanzata ottomana
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Il nemico alle porte. Quando Vienna fermò l'avanzata ottomana - Andrew Wheatcroft - copertina
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Il nemico alle porte. Quando Vienna fermò l'avanzata ottomana

Descrizione


L'assedio di Vienna: l'ultimo grande assalto musulmano all'Occidente. Ad attendere l'esercito turco, dentro le mura della città, c'è un popolo spaventato e un esercito sgomento. La scelta di resistere o di arrendersi al più grande esercito mai messo insieme dai Turchi crea lo scenario di un'opzione drammatica: 'tutto o niente'. Tutti sono consapevoli che ogni sopravvissuto sarebbe finito o schiavo o massacrato senza pietà. Da secoli nella memoria collettiva europea l'esercito turco è associato al terrore. Il nemico è una minaccia mortale, è pericoloso, sterminato, versatile e implacabile. Gli si attribuiscono violenze di ogni tipo, torture, uccisioni, impalamenti, distruzioni. In realtà non è così e la paura dei turchi è uno stereotipo costruito con una eccessiva semplificazione: gli asburgici non sono da meno nella crudeltà e, durante la lotta di 400 anni per il dominio, l'Occidente ha preso l'iniziativa dell'offensiva altrettante volte che l'Oriente. I sovrani che guidano le truppe hanno un identico scopo, entrambi rivendicano di essere gli eredi dell'impero romano. Gli Asburgo credevano che fosse loro dovere restaurare 'Roma' nell'est, poiché uno dei titoli che essi portavano con orgoglio era anche quello di Re di Gerusalemme; gli Ottomani credevano che fosse loro destino reclamare l'impero romano da Costantinopoli in direzione ovest. Ma la storia riserva delle sorprese.
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Dettagli

2010
7 ottobre 2010
388 p., ill. , Brossura
9788842088882

Voce della critica

È un libro su confini e frontiere, incursioni e guerre di conquista, terre rivendicate e contese, assedi, violenze e lotte mortali. Ma è soprattutto un libro sulla paura, la paura di un nemico incombente ai margini orientali dell'Europa balcanica, e su ciò che l'ha continuamente alimentata e che da essa è stato a sua volta nutrito, ossia gli stereotipi e in particolare quelli che sono stati definiti con la formula "orientalismo di frontiera" (Andre Gingrich).
Wheatcroft non solo ricostruisce i fatti politico-militari che condussero all'ultimo assedio ottomano di Vienna nel 1683, ma analizza l'immagine degli ottomani nell'opinione europea al tempo del prolungato scontro tra mondo ottomano e mondo asburgico. Sottostante a tutto il libro è il problema affrontato da molti storici: perché, nonostante la potenza, l'efficienza e la solidità derivanti dall'indiscussa autorità del sultano e nonostante la più incerta e traballante posizione degli imperatori asburgici in un'Europa dilaniata da conflitti religiosi e politici, lo stato imperiale ottomano perse la "battaglia per l'Europa" e imboccò la china del fallimento? Il 1683 chiuse infatti simbolicamente il ciclo di conflitti che si era aperto centosessanta anni prima, quando il sultano Suleiman aveva intrapreso una fase di espansione, espugnando Belgrado nel 1521, sbaragliando gli ungheresi a Mohács nel 1526 e assediando senza successo una prima volta Vienna nel 1529. Nel secolo e mezzo seguente la "proiezione di potenza" ottomana culminò con il secondo assedio di Vienna. Lo scacco del 1683 segnò la fine della Grande guerra turca (1667-1698) e del disegno ottomano di estendere universalmente l'autorità dell'islam e di strappare all'indegno usurpatore asburgico l'eredità imperiale romana. Non è strano, perciò, che per tutto questo periodo, a dispetto della retorica del declino ammannita dalla pubblicistica europea, i turchi fossero diventati una metafora della tirannia e del terrore.
Come Vienna fu liberata e la minaccia turca scongiurata nel 1683 è ampiamente narrato nei tre capitoli centrali del libro, nei quali spiccano le figure dei comandanti cristiani, Carlo duca di Lorena e il principe Eugenio di Savoia. L'autore ne espone imprese e doti militari e spiega come i due condottieri contribuirono a creare un mito di se stessi e della liberazione dell'Europa cristiana. La costruzione della multietnica monarchia asburgica ottocentesca, con i suoi progetti culturali "orientalistici", avrebbe dissolto la psicosi dell'assedio islamico, sostituendo alla percezione negativa del turco uno spirito di amicizia in funzione antirussa, consacrato dall'ingresso della Turchia nel sistema europeo degli stati (ne fu simbolo la presenza turca all'Esposizione di Vienna del 1873), dalla modernizzazione dei Balcani asburgici e poi dai flussi migratori novecenteschi. Wheatcroft sa notare come quella psicosi non solo sia pronta a risorgere, ma continui a pesare sull'atteggiamento di esponenti del mondo politico e religioso europeo e cattolico di fronte alla prospettiva dell'ingresso della Turchia nell'Unione Europea. Per contrastare chi, come papa Ratzinger, giudica antistorica una simile prospettiva, non c'è altro modo che usare la storia non come mito al servizio di ideologie, governi e poteri, ma come ricostruzione dell'effettivo svolgersi dei fatti.
Guido Abbattista

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