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2
2003
212 p.
9788877481122

Voce della critica


scheda di Favetto, G.L., L'Indice 1992, n. 1

Buona scuola quella che insegna a diffidare delle quarte di copertina, delle iperboli, degli strilli, dei proclami racchiusi in un paio di frasi che celebrano il contenuto del libro o la figura dell'autore. Eppure, a volte, si deve riconoscere che non vi è alcuna esagerazione. Non vi è là dove si dichiara che l'opera di Bernard-Marie Koltès "segna forse l'evento più importante del teatro mondiale negli anni ottanta". Questo giudizio, attenuato da un "forse" per commendevole prudenza, compare sul retro del volume che la Ubulibri dedica al giovane drammaturgo francese nato a Metz nel 1948 e morto a Parigi il 15 aprile 1989 a causa dell'Aids.
Quattro sono le parole chiave del teatro di Koltès: scontro, solitudine, notte e deserto. Attorno ad esse si sviluppa la sua poetica, tra lirismo e violenza, simbolismo e crudeltà del reale. Quel reale di cui era un cacciatore, senza concedere nulla al sentimentalismo (lui che indagava i sentimenti, soprattutto quello dell'amore nelle sue varie forme, come foreste), ma senza rinunciare alla sua forza visionaria, ispiratrice di metafore indimenticabili.
Tralasciando il primo testo attraverso cui il pubblico transalpino nel 1981 lo ha conosciuto, la "Nuit juste avant les forˆts", e l'ultima sua discussa fatica, Roberto Zucco, messa in scena postuma nell'aprile del '90 da Peter Stein, di cui assicura la prossima pubblicazione, la Ubulibri raccoglie qui i quattro testi che, allestiti da Patrice Chéreau, hanno dato a Koltès una meritata fama internazionale. Quattro sorprendenti lavori in cinque anni, dall'83 all '88, in cui la parola è sovrana, in cui la ritmata musicalità della scrittura si fa sostanza e azione scenica secondo la lezione di Marivaux e Giraudoux. Questi i titoli: "Scontro di negro contro cani", ambientato in Africa all'interno di un'impresa europea; "Quai ouest", che si svolge in una portuale terra di nessuno; "Il ritorno al deserto", dove il confronto è ancora una volta fra continenti dopo la guerra d'Algeria; e "Nella solitudine dei campi di cotone", il più difficile da tradurre (quasi impossibile, comunque si poteva fare di meglio, bisognava essere poeti, conviene leggerlo in originale), che mette in campo al termine della notte in un'atmosfera ambigua due uomini armati soltanto di parole, in palio c'è la vita umana.
Diceva Koltès: "Le radici non esistono. Da qualche parte esistono dei luoghi dove ad un certo punto ci si trova bene nella propria pelle. Le mie radici sono nel punto di congiunzione tra la lingua francese e il blues". Di lui ha scritto Chéreau: "È stato una meteora che ha attraversato il nostro cielo con violenza in una grande solitudine di pensiero e con una forza incredibile alla quale, a volte, per me è stato difficile accedere". È il miglior complimento che un grande regista possa fare al proprio drammaturgo.

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Conosci l'autore

Bernard Marie Koltès

1948, Metz

Bernard-Marie Koltès è stato un drammaturgo francese. Nelle sue pièce rappresenta situazioni estreme e scabrose, che hanno la cogenza del mito e, tuttavia, suscitano la rivolta nello spettatore. Il suo successo è strettamente legato alla collaborazione con il regista P. Chéreau. Tra le sue opere si ricordano Lotta fra negro e cani (Combat de nègre et de chiens, 1979), Nella solitudine dei campi di cotone (Dans la solitude des champs de coton, 1987), Ritorno al deserto (Le retour au désert, 1988). In Roberto Zucco (rappresentata postuma nel 1990), un giovane assassino è consacrato eroe del nostro tempo. È anche autore di un romanzo, Fuga a cavallo lontano nella città (Fuite à cheval tres lontain dans la ville, 1984).

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