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Recensioni Narrate, uomini, la vostra storia

Recensioni: 5/5

Questo libro, il più celebre di Savinio e per molti il suo capolavoro, fu pubblicato per la prima volta nel 1942, in quegli anni della guerra che segnarono per lo scrittore l’apice dell’intensità creativa. Il successo fu immediato. Ma il suo vero pubblico questo libro dovrebbe raggiungerlo oggi, per la sua impressionante concordanza con la sensibilità di anni come i nostri, che si trovano – senza loro merito – ad aver bruciato ogni essenza della Storia. Mai tanto congeniale sarà stato per noi ascoltare Savinio come in questo «invito alla confessione», invito «tutto dolcezza e perfidia», che evoca i ritratti fantomatici di alcuni esseri quanto mai diversi – da Isadora Duncan al torero Bienvenida, da Nostradamus a Jules Verne –, sospinti verso di noi dalla risacca del tempo. L'edizione originale di Narrate, uomini, la vostra storia era accompagnata da un risvolto nel quale è facile riconoscere una delle più memorabili pagine di Savinio. Lo riproduciamo qui, come introduzione a questa galleria di «ritratti pietosi e terribili»: «Una volta i ritratti erano fatti dai pittori. Tempi senza paura. Chi sa se Arrigo VIII oggi vivo, avrebbe ancora il coraggio di farsi fare da Holbein quel ritratto che in una sala del palazzo Corsini, a Roma, lo eternizza in tutta la sua verità? Di poi l'uomo non osa più farsi ritrattare dai pittori, ma si rivolge agli specialisti del ritratto, che fanno di lui un'immagine approssimativa e eufemistica. E questa paura si capisce. Nel vero ritratto l'essenza del personaggio prende stanza e si ferma per sempre, e il committente, perduta ogni ragione di vivere, s'incammina falotico e svuotato, verso la morte. Nasce da qui l'opinione degli antichi, che chi si fa fare il ritratto, finisce di vivere. Dei ritratti dipinti da Alberto Savinio, un critico ha detto che sono "altrettanti giudizi". A maggior ragione questa definizione si affà ai ritratti che Savinio non traccia col pennello, ma con la penna. Dei personaggi anche più spubblicati dalla fama, la storia serba un'immagine reticente, vestita di panni impermeabili, devitalizzata. Narrate, uomini, la vostra storia è un invito alla confessione. A questo invito tutto dolcezza e perfidia, non hanno saputo resistere né Felice Cavallotti, né Eleuterio Venizelos, né Antonio Stradivari, né Vincenzo Gemito, né Giuseppe Verdi, né il poeta Lorenzo Mabili, né il torero Cayetano Bienvenida, né Jules Verne, né Carlo Lorenzini, né il mago Michele di Nostradamus, né Paracelso, né la danzatrice ed eugenista Isadora Duncan; e in piena fiducia hanno vuotato in questi ritratti pietosi e terribili, tutta quanta la loro essenza fisica e metafisica. Ormai, i personaggi qui sopra nominati non li ritroverete più in nessun altro luogo, fuori che nelle pagine di questo libro; nel quale essi si stanno come il defunto nella tomba di una volta, assieme con la vedova, i guerrieri, i servi, i cavalli arsi sul rogo, e le armi, le cibarie, ecc.».

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